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Alla Camera si discuteva il progetto di legge per gl’infortuni sul lavoro e le case in costruzione e quelle già costruite crollavano ogni momento, spesso facendo vittime.

Il guardiano di uno degli immensi palazzi della ditta Marotti e Frontini, in piazza Vittorio Emanuele, udì una sera strani rumori nel fabbricato e potè fare in tempo a mandar via tutti quelli che dormivano sotto i portici di quel palazzo, altrimenti sotto quelle macerie sarebbero rimaste molte vittime.

Poco dopo precipitò un’altra casa in via del Boccaccio, un’altra in via Cairoli e un secondo dei palazzi in piazza Vittorio Emanuele minacciò rovina. Questo succedersi di disgrazie fece nascere negli animi un grande malcontento contro gl’intraprenditori, e quel fatale sospetto che si fosse fatto tutto male, che nessuna fabbrica avesse la stabilità voluta.

E come se questo pensiero non bastasse s’incominciò di nuovo a parlar di colera, e vi furono anche a Roma alcuni casi isolati. In Sicilia faceva strage davvero, e il Re corse a Roma per intraprendere il viaggio di Palermo, ma il consiglio dei ministri gli dimostrò che era troppo imprudente di ripetere le generose visite di Napoli e di Busca, che vi erano le quarantene e che avrebbe dovuto scontarle come ogni altro cittadino. Il Re tornò a Monza dolente, e il solo ministro Taiani andò in Sicilia. Però Umberto, che già aveva dato 40,000 lire alle signore della Croce Rossa, dette ancora altre somme ai colpiti dal morbo.

Nel tempo brevissimo che il Re rimase a Roma, fu insediato al ministero degli Esteri il conte Carlo di Robilant, già ambasciatore a Vienna, uno dei fautori del nostro ravvicinamento agli imperi centrali. Il Papa aveva preso per segretario di Stato monsignor Jacobini; il Governo del Re prendeva per dirigere la politica estera il proprio ambasciatore nella stessa capitale; queste due scelte, che dimostravano la simultaneità di tendenze nella politica della Santa Sede e dell’Italia, furono assai commentate.

Il conte di Robilant era un soldato valoroso, un abilissimo diplomatico, e a Vienna ne aveva dato prova riuscendo a migliorare i rapporti nostri con l’Impero austriaco, in onta alle agitazioni irredentiste, ma non era un uomo parlamentare.

Appena si riaprì la Camera l’on. Miceli nel calore di un discorso, si volse al banco dei ministri esclamando «Vergognatevi!». Il conte di Robilant, non assuefatto a ricevere insulti, batte forte il pugno sul banco e dalle labbra gli usci un: «Ah questo poi è troppo!» che è rimasto celebre negli annali parlamentari.

Il conte Robilant scelse a suo segretario generale il marchese Raffaele Cappelli, che era stato all’ambasciata di Vienna, e andò ad abitare al palazzo della Consulta.

In autunno si riunì a Roma il congresso penitenziario e vi fu una bella esposizione carceraria al palazzo delle Belle Arti. Ogni Stato aveva esposto i miglioramenti introdotti nelle rispettive carceri. Le celle erano illuminate a luce elettrica, avevano acqua, caloriferi, campanelli, il comfort insomma che manca anche in certe case signorili. I visitatori dell’esposizione dicevano ironicamente che bisognava commettere un delitto per godere gratis di tutti quegli agi.

I congressisti visitarono il nuovo carcere di Regina Coeli, che non era ancora ultimato, e ne lodarono moltissimo il piano.

La legione degli Allievi Carabinieri fu trasferita in novembre da Torino a Roma e andò ad occupare la grande caserma in Prati, prospicente da un lato sul viale delle Milizie e dall’altro su quello Giulio Cesare.

Il Consiglio di Stato aveva approvato il progetto del lungo Tevere con i portici, la Giunta