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Il Palazzo delle Scienze era inaugurato senza il Sella, che tanto si era adoprato affinchè Roma ne possedesse uno. Ma il nome di lui era sulle labbra di tutti, allorchè i Sovrani assisterono alla prima seduta che i Lincei tennero nel già palazzo Corsini. L’aula era stata dipinta dal Bruschi, e su due colonne si vedevano i busti di Federigo Cesi, fondatore dell’Accademia, e di Quintino Sella, che ne era stato il redentore. Nel centro della sala si vedeva il gruppo dell’ Aureli raffigurante Galileo e Milton. I lavori del palazzo erano stati eseguiti dall’architetto Podesti, che in quel giorno fu colmato di elogi.
Dal palazzo Corsini a quello Salviati corre un breve tratto. In quest’ultimo il Principe di Napoli, dopo che era stato iscritto alla Scuola di Guerra, andava molto spesso a fare una specie di tirocinio militare. Egli si esercitava comandando una compagnia di alunni, e fra il Collegio Militare, la Scuola di Fisica a Panisperna e le visite ai monumenti, può dirsi che egli spendesse tutto il tempo che gli studi lasciavangli libero.
Prima che l’on. Mancini lasciasse il ministero, una nuova agitazione si era aggiunta a quella dell’Africa; l’agitazione affinchè venisse abolito lo scrutinio di lista, che aveva dato resultati così negativi fin dalla prima volta che era stato esperimentato. Era un’agitazione che non si limitava al Parlamento; il Bonghi chiese alla Camera che fosse abolito, il Crispi propose che fosse riordinato.
Le elezioni amministrative parziali, fatte di comune accordo fra i giornali di partito liberale, furono sfavorevoli alla lista della Unione Romana e i clericali non andarono ad ingrossare le file dei consiglieri avversi alla Roma italiana.
In luglio cessò le pubblicazioni il Bersagliere e Giuseppe Turco annunzio nei giornali quel fatto, che certo a lui spiaceva. La Tribuna, che aumentava la tiratura ogni giorno, mercè il denaro del principe Sciarra, doveva necessariamente uccidere tutti i giornali dello stesso colore che si stampavano a Roma, e prima quello del Nicotera, che non aveva la costanza del Crispi nel tirare avanti il suo, che era allora, come è stato sempre, la Riforma.
Il Papa aveva avuto non poche seccature nei primi mesi dell’anno. Gl’intransigenti si valevano del Journal de Rome per fargli la guerra, e la cosa andò tant’oltre che il direttore di quel giornale, il signor des Houx, che poi vedremo in carcere, dovette dimettersi, e il cardinal Pitra, che gl’intransigenti volevano contrapporre al Papa, fu costretto a scrivere al Pontefice una lettera di sottomissione.
Due cardinali molto benaffetti al Papa, il Chigi e il Nina, erano morti, e Leone XIII, nel concistoro del 28 luglio dette la porpora a monsignor Paolo Melckers, arcivescovo di Colonia, uomo molto mite di sentimenti e devoto suddito di Guglielmo I; a monsignor Capecelatro, arcivescovo di Gaeta, prelato conciliante e coltissimo come il suo amico, il Casanova, che Napoli benedice ancora, e benedirà per molto tempo; all’arcivescovo di Bologna, monsignor Battaglini, il più illuminato fra i pastori; e allo Schiaffino, al Cristofori e al Morian di Sidney.
Queste nomine mostrarono che il Papa non si voleva lasciar imporre dagli intransigenti, come avevalo mostrato la sua condotta verso il cardinal Pitra, ma non per questo egli modificò la sua linea di condotta di fronte all’Italia. Ogni piccolo motivo facevagli rinnovare le proteste ormai inefficaci.
Leone XIII ebbe una soddisfazione in quell’anno: Spagna e Germania lo nominarono arbitro del conflitto nato fra di loro, rispetto alle isole Caroline. Il papa studiò la questione, scrisse un protocollo, che fu firmato dall’ambasciatore di Spagna de Molins e dal ministro prussiano von Schloezer.