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Il Lopez era accusato di ricettazione di una parte dei milioni rubati alla sede di Ancona della Banca Nazionale. La Governatori, moglie di uno dei condannati, aveva consegnato all’elegantissimo avvocato abruzzese, il quale si concedeva tutti i lussi, anche quello di mantenere le donne galanti, 973,600 lire dietro ordine del marito. In sulle prime il Lopez aveva dato alla Governatori le somme che questa richiedevagli per mantenere la famiglia; dopo la faceva tornare più e più volte anche per ottenere 100 lire. Ella, che possedeva una ricevuta dell’avvocato, se ne valse e lo fece arrestare, e oltre a lui furono arrestati il fratello Filippo Lopez nella villa Doria al Vomero, il banchiere Baldini, la Governatori e altri. I mobili del quartiere di Filippo Lopez, il quale occupava il pianterreno di un bel palazzo al Castro Pretorio, furono venduti all’asta, e quella vendita fu un argomento di curiosità per la gente sfaccendata, che corse a vedere le raffinatezze di lusso di cui circondavasi l’elegante avvocato.

Sbarbaro trovò un altro difensore nell’avv. Muratori e dette da fare non poco al presidente Roberti e al pubblico ministero de Felici per la sua infrenabile loquacità. L’accusato si difese strenuamente, ma fu condannato a tre mesi di carcere per una lettera minatoria al Brioschi e a sette anni per gli altri reati. Il condannato ironicamente ringraziò la giustizia e fu tratto alle Carceri Nuove, dove, senza gli elettori di Pavia, sarebbe rimasto lungamente.

In appello la pena fu solo ridotta di tre mesi e diminuita la multa.

E tanto per non uscire dai processi accennerò a quello de Dorides-de Vecchi che fece nascere il sospetto nel pubblico del soverchio zelo del questore di Roma per fini ambiziosi. Il de Dorides era corrispondente dei giornali francesi e redattore del Journal de Rome. Un giorno da un tabaccaio di fronte al ministero di marina, egli dimenticò un pacco al suo indirizzo, proveniente da Spezia. Quel pacco conteneva disegni di navi e fu mostrato a un impiegato della marina. L’impiegato ne riferì al Ministro, che vide in quelle carte una prova che dall’arsenale di Spezia si mandavano notizie sul nostro materiale di guerra. Subito si gridò al tradimento; il de Dorides fu arrestato; si fece un’inchiesta alla Spezia e si scoprì che il corrispondente del giornalista francese era Leonello de Vecchi, figlio del prode generale, e fratello di Vittorio Augusto de Vecchi, notissimo nel mondo letterario sotto il pseudonimo di Jack la Bolina. Prima Lionello e poi Vittorio furono arrestati e tradotti a Roma alle carceri nuove, dove rimasero quasi un anno.

Il clamore che destarono questi arresti, sfruttati dalla opposizione, fu grandissimo. Vedremo come il processo si svolgerà nell’anno seguente.

Ma lasciamo i processi per tornare ad altri fatti meno dolorosi.

Una delle questioni di cui s’impensierì il Consiglio comunale in quell’anno fu l’eccessiva espansione delle costruzioni fuori delle mura. Si era costruito fuori di porta Pia, fuori di porta San Lorenzo, fin quasi al Cimitero, fuori di porta San Giovanni e fuori di porta Flaminia, e il Consiglio vi mise un freno, con danno peraltro degli operai e dei costruttori. La Giunta portò al Consiglio la proposta del risanamento di Roma, ma quel risanamento essendo stato approvato solo in parte, la Giunta si dimise. Sarebbe stato un grave danno in quel momento e il presidente del Consiglio interpose i suoi buoni uffici per farle ritirare le dimissioni, e vi riuscì.

Il principe Borghese per provare i suoi diritti di esclusiva proprietà sulla villa, che porta il nome della sua famiglia, ne ordinò in maggio la chiusura; il Comune, rapppresentante dei diritti dei cittadini, fece nascere una sentenza, con la quale si ordinava al principe di riaprire la villa al pubblico; l’avvocato municipale Meucci scrisse una memoria con la quale dimostrava che la villa era stata acquistata dagli antenati del principe per il comodo degli abitanti di Roma, ma la questione