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e a gridare: «Viva Maria!» Questo provocò la solita controdimostrazione dei liberali con accompagnamento di fischi, ai quali i fedeli risposero col grido di «Viva il Papa Re!».

Fuori della chiesa avveniva pure lo stesso, e il delegato Neri, per impedir disordini, cinse la sciarpa e chiamò a raccolta un numero grandissimo di guardie per protegger l’uscita della gente. Ma vedendo che non riusciva nell’intento, perchè chiunque si presentava era accolto da urli e fischi, fece avanzare i carabinieri e una compagnia di fanteria, ed entrato in chiesa indusse i fedeli a uscire dalla porta posteriore.

In piazza Colonna più tardi ci vollero gli squilli e gli arresti per calmare un altro tumulto anti-clericale. Gli arrestati furono giudicati il giorno dopo; soltanto un certo Lopas si buscò un mese di carcere, tre ebbero cinque giorni; tutti gli altri furono assolti.

Lo Sbarbaro accaparrato dal Sommaruga, che sperava far quattrini con gli scandali che il professore così leggermente suscitava, e con le accuse che lanciava a piene mani su tante persone, aveva fondato le Forche Caudine, strano giornale settimanale di ricatti, scritto da cima a fondo da Sbarbaro. Gli articoli portavano tutti la firma di lui e riuscivano monotoni, perchè Sbarbaro li componeva tutti con una specie di ricettario a base di lodi smaccate per alcune persone, e d’improperii per altre, che erano poi sempre le stesse. Il professore trionfava avendo trovato un editore che lo secondava, che non aveva scrupoli, e davagli denari, così tutto tronfio passeggiava per Roma, forse inconscio del male che faceva e degli odii che suscitava contro di sé. Un giorno era appunto sul Corso con la moglie sotto il braccio, quando Alfredo Baccelli passava in carrozza con sua madre, che il professore aveva così atrocemente offesa. Alfredo Baccelli balzò di legno, andò incontro al professore, gli domando se era Sbarbaro, e avutane risposta affermativa, gli dette due pugni sul cilindro. Sbarbaro si mise a gridare, e la moglie a menar pugni all’assalitore, intanto che il professore ordinava alle guardie di arrestarlo. In questura, dove Sbarbaro era andato, giunse Augusto Baccelli, che aveva saputo il fatto, e anche l’ex-ministro, al quale era stato detto erroneamente che suo figlio era arrestato. Nel vedere i due fratelli, Sbarbaro si affacciò alla finestra ed arringò la folla, la quale al solito era divisa in due campi, così che il professore ebbe fischi e applausi, e ci vollero le guardie per ottenere lo sgombro della via. Tramontato Coccapieller, sorgeva sull’orizzonte romano un altro tribuno.

Sbarbaro aveva preso di mira le mogli dei ministri, che accusava di turpitudini di ogni genere, gli uomini politici, i giornalisti, l’on. Martini specialmente, e il senatore Pierantoni, il quale gli dette una prima querela per diffamazione, e si buscò una condanna. Il Pierantoni, di nuovo offeso, ne sporse un’altra; furono riconosciute la diffamazione e l’ingiuria, ma come conseguenza della prima, cosicchè il professore e il gerente vennero condannati soltanto a una multa. Sbarbaro gongolava e i suoi ammiratori ne seguirono la carrozza applaudendolo fino a piazza Colonna, ov’egli tenne loro un discorsino.

La Forche Caudine continuavano a pubblicarsi e il professore le riempiva tuttavia della sua prosa monotona, ma la diffusione diminuiva ogni settimana, perché il pubblico fra il quale reclutava i suoi lettori, non era quello rozzo del Carro di Checco, ed erasi presto stancato di tante contumelie. Peraltro lo Sbarbaro non si curava di nulla e scriveva al solito. Egli chiese alla facoltà giuridica dell’Università di Roma la libera docenza di Filosofia del Diritto e di Economia Politica, e gli fu accordata; ma il Consiglio superiore della pubblica istruzione cassò la deliberazione

Sbarbaro aveva fatto ricorso alla Corte d’Appello contro la sentenza del tribunale, nella causa promossa dal Pierantoni, e il giorno prima scrisse al conte Serra, che doveva presiedere il dibatti-