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colpi, ai quali il carabiniere rispose. I quattro appostati si diedero alla fuga profittando delle tenebre. Il Varicchio sparò due colpi di revolver in quella direzione, e gli fu risposto. Uno dei colpi gli fece cadere il cappello e la vampa della polvere gli bruciò la faccia. Nonostante sparò gli ultimi colpi del revolver. Accorsero al rumore un carabiniere e un soldato, che erano al chilometro vicino. Il treno reale passò incolume, e fu sequestrata sulla linea una bottiglia piena di polvere. I malfattori si erano dati alla macchia e forse poi al mare, ove è probabile che fossero raccolti da una barca, e nessuno ne ebbe più notizia.

Il bravo carabiniere fu premiato, ebbe la promozione, la medaglia al valor militare, e anche ricompense da società; l’Alleanza Reduci e Patrioti di Livorno gli decretava una medaglia e una pensione vitalizia.

Dal Vaticano forse non mai come in quel tempo era mossa una guerra sorda, celata contro lo Stato italiano. Dal 1874 in poi durava la controversia fra il Governo e l’Istituto di Propaganda Fide. Questo oppugnava la legge e le successive sentenze del tribunale e della Corte di Appello, e non intendeva convertire in rendita o in titoli dei cinque istituti nostri di emissione i suoi beni stabili. Fu chiamata la Corte di Cassazione a risolver la controversia, e questa adunatasi a sezioni riunite si pronunziò in favore delle leggi di soppressione delle corporazioni religiose. Il Vaticano si risentì, non direttamente, ma indirettamente per mezzo dei suoi giornali e dei Nunzi. Si credè, e si volle far credere che l’Istituto di Propaganda Fide avrebbe portato altrove la sua sede, ma dopo lungo schiamazzare la questione si acquetò e Propaganda Fide risiede ancora nella via di quel nome.

Il Papa si era vivamente appassionato per quel fatto e poco dopo essendo venuti a Roma il principe Leopoldo di Baviera e la principessa Gisella, figlia dell’Imperator d’Austria, non volle riceverli, perchè erano andati al Quirinale, forse con lo scopo d’impedire la restituzione della visita di Francesco Giuseppe al Re. La manovra abilissima riuscì perfettamente. Ma la guerra non si calmò dopo quello sfregio inflitto alla figlia di un alleato dell’Italia e al principe bavarese; il Papa credendo di vendicarsi pronunziò anche una violenta enciclica contro la massoneria, poichè nel concetto dei clericali massoneria è sinonimo di libertà e d’Italia costituita in governo monarchico.

In quella primavera tre cardinali erano venuti a mancare: il Bilio, l’Hassun, patrono del Collegio Armeno, e il di Pietro. I funerali del primo furono fatti a San Carlo a Catinari; del secondo a Sant’Andrea delle Fratte, modestamente perchè dopo il 1870 i cardinali eran portati senza alcuna pompa al Camposanto. Per il di Pietro, decano del Sacro Collegio, si fece uno strappo alla consuetudine, forse per le larghe aderenze che aveva nel patriziato Romano, essendo parente dei Caetani, dei Doria, dei Torlonia, e amico di tutti i signori, e dietro al feretro dell’intelligente e affabile porporato si videro moltissimi amici e un lungo stuolo di carrozze signorili.

Quando appunto il di Pietro veniva a mancare, il Papa creava cardinali monsignor Neto, patriarca di Lisbona, e monsignor Sanfelice, arcivescovo di Napoli, il conciliante e buon prelato che si è fatto venerare dai suoi diocesani per la sua abnegazione e le sue virtù. Al de Neto fu mandato lo zucchetto a Lisbona, e glielo portò il conte Antonelli; il Cardinale Sanfelice ricevè dopo il concistoro in casa del cardinal Randi, al palazzo Gabrielli, ed ebbe le felicitazioni di tutti i Napoletani residenti qui. Al ritorno nella sua diocesi fu accolto da una calda e affettuosa ovazione.

I lavori progredivano su larga scala, ma non come i cittadini avrebbero desiderato, perchè le continue proposte nuove fatte al Consiglio li intralciavano, e soprattutto eran resi difficili dalla terribile speculazione sui terreni, che fu la piaga di quel tempo. Appena il municipio aveva bisogno