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tirono anche essi, e l’on. Genala in fretta e in furia firmò le convenzioni ferroviarie con le due società assuntrici, l’Adriatica e la Mediterranea, e portato alla firma del Re il decreto che lo autorizzava a ritirare dal Parlamento il disegno di legge presentato dall’ex-ministro Baccarini e in parte modificato, partì anche egli per la grande festa del lavoro.

La Camera, che aveva così poco lavorato durante l’inverno, si era aggiornata; il duca Torlonia, e molti assessori, erano a Torino per far gli onori ai Sovrani del Tempio di Vesta, costruito dall’ing. Ferdinando Mazzanti, sui piani di quello rintracciato nel Foro Romano; treni carichi di gente avevano emigrato sulle sponde del Po; la vita a Roma taceva.

Un atto del nuovo ministro della marina era molto discusso e approvato: quello della creazione di una specie di consiglio dell’ammiragliato a capo del quale doveva esser posto un ammiraglio che aveva facoltà di proporre al ministro la mobilitazione dell’armata in caso di guerra, e indicargli i provvedimenti che credeva necessari alla difesa marittima dello Stato. Non tanto il provvedimento fu lodato quanto la scelta del capo. Quella scelta era stata fatta dal Brin con molta accortezza, perchè ponendo alla direzione del consiglio dell’ammiragliato il Saint-Bon era sicuro di aver con sè la Camera e il paese, che aveva in lui piena fiducia.

La Camera si riunì il primo maggio, ma in quel giorno se furono numerose le domande d’interpellanza, fra le quali una dell’on. Orsini sulla condizione politica ed economica di Roma in relazione con la progettata esposizione mondiale, scarsi furono i deputati presenti, cosicchè si dovette terminare la seduta alle 3. E tanto per non smentire il detto che dal buon mattino si vede il buon giorno, le discussioni andavano avanti sfiaccolate, ravvivandosi soltanto quando si trattava d’interpellanze, ma anche queste non portavano a nessun voto. La più importante fu quella che spinse l’on. Mancini a far dichiarazioni sugli intendimenti della Francia rispetto al Marocco, ma il male si fu che le parole del ministro peggiorarono, anzichè migliorare, la situazione del gabinetto, perchè parvero troppo vaghe.

Quando discutevasi il bilancio dell’Interno furono presentate all’on. Depretis numerose domande d’interrogazione, alle quali egli rispose. Chiusa la discussione, fu proposto dall’on. Mordini un ordine del giorno di fiducia al ministero. Prese allora la parola uno dei Pentarchi, l’on. Zanardelli, dicendo che la questione ministeriale non era proposta da loro, che loro non volevano accettare la battaglia in condizioni anormali, sotto la influenza dei bilanci, e per questo non volevano partecipare al voto. Difatti, quando furono portate le urne si ritirarono, e fatta la chiama si vide che la Camera non era in numero. Il giorno seguente l’opposizione ripetè lo stesso giochetto.

Ai primi di luglio la Camera sospese le sedute, senza occuparsi di nessuna legge importante. Il colera scoppiato con straordinaria violenza in Francia distoglieva le menti da qualsiasi lavoro serio, e siccome già si manifestava in Piemonte, portatovi dagli operai che rimpatriavano, era giustificato il timore dei deputati di trovarsi chiusi a Roma dalle quarantene, e il loro desiderio di andarsene prima.

Nella notte dal 16 al 17 marzo sulla linea Maremmana doveva passare il treno reale. In prossimità di Corneto era in perlustrazione un carabiniere, certo Varicchio, al quale era stato specialmente raccomandato di badare a un ponticello. Egli aveva più volte perlustrato il tratto di terreno assegnatogli, e si era un momento allontanato quando udendo il rumore della macchina-staffetta ritornò sul ponticello, sotto il quale scorse due persone e più lungi altre due. Il carabiniere dette il «Chi va là» e gli fu risposto a bassa voce: «Siamo amici». Intanto egli sentiva il rumore del treno reale e già vedeva la macchina, e si avanzò per far fuoco. In quel tempo partirono quattro