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per deferenza del principe, che lo stimava molto. In quelle passeggiate contrasse le febbri, dalle quali non potè più liberarsi. Si manifestavano di tanto in tanto, e ogni attacco minava maggiormente la salute di lui. Il pensiero adunque che era stato ucciso dal clima della città, per la quale aveva tanto combattuto, prima perchè fosse capitale d’Italia, e poi perchè ne divenisse il cervello, accresceva il dolore della perdita.

Quintino Sella non potè veder neppure i Lincei nella loro nuova dimora, perchè il palazzo Corsini si riattava appunto per accogliervi la dotta accademia della quale era presidente.

L’elezione del presidente della Camera, non soddisfacente per il Depretis, lo indusse a dar le dimissioni. Dopo pochi giorni il ministero, superata la crisi, potè ricostituirsi. Ne era uscito il ministro di Grazia e Giustizia, on. Giannuzzi-Savelli, e lo aveva sostituito il Ferracciù; al Berti era succeduto il Grimaldi, al del Santo il Brin, al Baccelli il Coppino. L’on. Baccelli, prima di lasciar la Minerva, aveva con decreto reale pareggiato il Collegio del Nazzareno ai Ginnasi-Licei governativi. Il Nazzareno era ed è diretto dagli Scolopi e questo fatto fece scagliare nuovo biasimo contro il ministro romano.

Si procedè di nuovo alla elezione del presidente della Camera. Quella volta il candidato ministeriale era il Biancheri, che aveva di fronte il Cairoli. Ma il Biancheri raccolse molti più voti del suo predecessore.

Come segretario generate al ministero dell’Istruzione Pubblica, andò l’on. Ferdinando Martini, che aveva vasta cultura e voce autorevole alla Camera. Però egli accettò soltanto a patto che fosse fissato subito quel tanto che dovevasi fare per migliorare le condizioni dei maestri elementari.

Il nuovo gabinetto presentò subito alla Camera il progetto di legge per l’istituzione del ministero della Presidenza e del Tesoro.

Roma ebbe in quell’anno per la prima volta il suo Derby-Day, grazie alla regal munificenza di Umberto, che aveva stanziato 24,000 lire per la grande corsa, e 6000 per l’altra degli ostacoli. La Società Romana delle Corse aveva preparato sulla via Appia, fra l’antica e la nuova, uno fra i più bei campi di corse che sia dato immaginare. La grande pista era destinata tanto alle corse piane che agli steeple-chases. Torno torno correva una steccato; presso i due cancelli erano le tribune di materiale; due grandi per il pubblico e per i soci, e nel centro il padiglione Reale. Il campo era prossimo, come è adesso, alla linea ferroviaria Roma-Napoli, e al Tram di Marino. I lavori erano stati diretti dal cav. Alessandro Piacentini, sotto l’alta sorveglianza del duca di Marino, uno dei più intelligenti sportmen d’Italia.

Naturalmente i Sovrani vollero assistere alla grande festa ippica. Il Derby Reale fu vinto da Andreina di Sir Rook, cioè dalla scuderia del conte Gastone di Larderel, montata da Rook Junior, e alla vittoria della bella cavalla di tre anni, assisteva tutta la Roma elegante, non assuefatta a corse così importanti. Gli equipaggi a quattro e a due cavalli che conducevano sul prato di Centocelle le più belle signore di Roma, non si potevano contare, e fino al terzo miglio, vi era folla lungo la via, una folla gaia, attratta soprattutto dal desiderio di vedere le ricche ed eleganti patrizie più belle del solito nei gai abiti primaverili.

Senza tema di smentite si può dire che quella festa del Derby fosse la più bella dell’anno, anno di lutti incominciato fra le commemorazioni funebri, svoltosi fra i funerali (erano morti il duca Grazioli, l’on. Varė, il generale Colli di Felizzano e il maggior Corazzi) e che doveva terminare fra i ricordi di un vero flagello.

I Sovrani, subito dopo le corse, andarono a inaugurare l’esposizione di Torino. I ministri par-