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Trieste, Shaghai, Smirne, Cipro, Bucarest, Vienna, Cairo, Pietroburgo, Costantinopoli, Salonicco, Atene, Tunisi, Montevideo, Lugano, Marsiglia, Valparaiso, Rio Janeiro, Alessandria d’Egitto, San Francisco di California, e Parigi, che aveva mandato molti membri della Lira Italiana.

Al secondo pellegrinaggio parteciparono le provincie di Mantova, Bari, Campobasso, Brescia, Alessandria, Vicenza, Catania, Novara, Porto Maurizio, Cremona, Reggio Calabria, Palermo, Reggio Emilia, Bergamo, Genova, Teramo, Messina, Firenze, Forlì, Verona e Massa. I pellegrini di Forlì erano stati fischiati al partire da quella città; quando si videro sfilare per le vie di Roma, da Termini al Pantheon, non ebbero altro che un’ovazione caldissima al grido di «Viva la Romagna forte, generosa! Viva la Romagna monarchica!» Il Re pure, sempre concorde col suo popolo, nel ricevere questo secondo pellegrinaggio, fece ai rappresentanti di Forlì un’accoglienza speciale.

Al terzo pellegrinaggio del 22 gennaio parteciparono le provincie di Pesaro, Bologna, Salerno, Caserta, Avellino, Grosseto, Pisa, Girgenti, Catanzaro, Modena, Caltanisetta, Perugia, Potenza, Siena, Foggia, Sondrio, Trapani, Lecce, Lucca, Ascoli Piceno, Piacenza, Treviso. I veterani di Perugia recavano una grande stella nel cui centro si leggeva: «Al vendicatore delle stragi di Perugia il comitato Perugino dei Veterani». Fra le bandiere di Trapani si vedeva quella storica del Lombarda. Siena aveva portato i gonfaloni delle sue 17 contrade, recati da uomini vestiti del costume di ciascuna di esse. Insomma ogni pellegrinaggio ebbe la sua impronta speciale, e tutti uniti dimostrarono quanto affetto avesse l’Italia per il Grande, che riposava sotto la volta maestosa del Pantheon, che dopo essere stato il tempio di tutti gli Dei, e poi di tutti i Martiri, era divenuto il monumento più caro agli italiani.

Fra un pellegrinaggio e l’altro, la città si era occupata dei progetti del monumento a Vittorio Emanuele, ma il responso della Commissione non si conobbe altro che alcuni mesi dopo.

I tre migliori bozzetti, benche i giornali ne vantassero altri, erano quelli del Sacconi, del Manfredi e dello Schmitz; migliore di tutti il primo per la maestà delle linee e l’armonia generale, ma molti opinavano che fosse errore erigerlo al Campidoglio. Lassù vi era già la chiesa, vi erano le costruzioni michelangiolesche e le memorie della Roma antica, e bastava. Oltre queste considerazioni di ordine generale, ve ne erano altre tecniche e finanziarie, che si opponevano alla indicazione di quel luogo per farvi sorgere il monumento. Prima fra tutte la difficoltà per le fondamenta, i danni che si potevano arrecare alla chiesa, e le numerose espropriazioni che occorreva fare affinchè monumento fosse veduto dal Corso. Ma nulla tratteneva quelli che, come il Depretis, volevano il monumento al Campidoglio, affermazione della grandezza della nuova Italia con Roma capitale. Essi vinsero, ed il Sacconi ebbe la commissione.

Al Campidoglio vi era stata lotta e vi erano stati attriti. Don Leopoldo Torlonia, rieletto deputato di Roma, non poteva esser sindaco, e i romani si diceva fossero stanchi dell’effe effe, e volessero un sindaco per davvero, che ne esercitasse le funzioni e ne avesse il titolo. L’on. Torlonia lo capì e dette le dimissioni, perchè pareva che l’assessore Trocchi volesse essere sindaco. Ma appena il Consiglio si riunì il principe Borghese per i conservatori, l’on. Tittoni per i moderati e l’on. Ferri per i progressisti fecero ognuno un discorso per invitare il Torlonia e la Giunta, che frattanto erasi dimessa, a desistere dal loro proponimento. Per il Torlonia ci fu unanimità d’intendimenti, per la Giunta no; anzi i consiglieri Amadei, Carancini, Doda, Cruciani-Aliprandi e Ferrari vollero far sapere che non approvavano la linea di condotta di alcuni fra gli assessori.

La sera stessa in cui l’onorevole Torlonia e la Giunta ritirarono le dimissioni, l’on. Amadei fece una interpellanza sulla nomina del canonico Biffani a insegnante di religione nelle scuole, in-