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presto furono raggiunti dal Re. Tutti insieme assisterono al varo dell’incrociatore Savoia e ne fu madrina la Regina di Portogallo. Erano appena due mesi che i Sovrani avevano assistito a Livorno al varo della Lepanto; altre tre corazzate era già sui cantieri: la bella flotta italiana poteva dirsi dunque in formazione.

Nello stesso tempo, in cui era qui la buona figlia di Vittorio Emanuele, i romani furono chiamati alle urne per eleggere i nuovi consiglieri comunali e provinciali. Cresciuta la popolazione, dovevano essere aumentati anche i suoi consiglieri. Riuscirono eletti molti moderati, alcuni progressisti, alcuni che non si sapeva ancora se fossero carne o pesce, come don Giovanni Borghese, che era stato in Africa, e don Ugo Boncompagni, uno di quei giovani romani che dopo il 1870 aveva preferito di studiare all’Università di Lovanio piuttosto che a quella riordinata dal Governo italiano.

Si doveva eleggere anche un deputato, perché il collegio di Coccapieller era rimasto vacante, e un nome corse sulla bocca di tutti: quello di don Leopoldo Torlonia, al quale mancavano soltanto pochi mesi a raggiungere l’età prescritta dalla legge per sedere a Montecitorio. Nonostante fu eletto contro Coccapieller, e subito andò al Teatro Rossini, ove era adunato il comitato, che aveva propugnato la sua candidatura, e dove ebbe una calorosa dimostrazione promossa da Edoardo Arbib; il neo-eletto ne fu commosso e potè appena ringraziare. Un altro collegio di Roma era rimasto vacante, perchè il maggiore Corazzi era fra i deputati-impiegati, i quali, in seguito al sorteggio, dovettero deporre il mandato. Cesare Orsini, il quale per quell’idea della esposizione si attaccava a ogni gancio, dopo avere promosso comizii, dopo aver inondato Roma di manifesti, e aver distribuito schede di sottoscrizione fra il popolo, si attaccò a quello della elezione, portandosi contro Ricciotti Garibaldi, e riusci eletto. Ricciotti, come si capisce, era il candidato di Coccapieller, eppure non avvenne alcun disordine, segno evidente che il tribuno perdeva terreno ogni giorno.

In quell’estate, e appunto dopo le elezioni amministrative, che avevano dimostrato quanto profonde fossero le scissure nel campo liberale, si riconobbe da molti la necessità di fondare un’associazione che riunisse le forze sparse del grande partito. Le prime adunanze furono tenute nel palazzo Sciarra, in casa di don Maffeo, e la nuova associazione s’intitolò Unione Liberale. In autunno essa sentì il bisogno di avere un giornale, al quale si pose nome La Tribuna, e che Luigi Roux diresse per un certo tempo. Era un giornale modesto, non aveva tipografia, nè si poteva supporre mai che dovesse trasformarsi nel gran giornale che fu poi.

Il principe Sciarra, al quale non mancavano nè idee nè attività, aveva avuto la massima parte nella fondazione dell’Unione Liberale. Egli faceva già parlar di sè; aveva in sei mesi ricostruito il Quirino e le case adiacenti, ed era, come tanti signori in quel tempo, preso dalla frenesia di strafare, frenesia del resto che trascinava anche altri, non principi, nè ricchi, fra i quali l’editore Sommaruga, che senza sapere se avrebbe mai potuto smerciarli stampava migliaia e migliaia di libri di ogni genere; alcuni eccellenti, altri pessimi, inondando il mercato libraio di volumi che pochi giorni dopo aver pubblicati, spesso anche anche prima, offriva ai librai a metà prezzo, e mandava a vendere per soldi sui banchetti quando il bisogno di danaro, che quasi sempre risentiva, stringevalo forte.

Il Papa, tutto occupato delle variazioni della politica tedesca rispetto a lui e della perplessità in cui tenevalo il Governo della Repubblica francese, non faceva cosa che potesse su di lui attirare l’attenzione di Roma. La più notevole manifestazione di Leone XIII in quell’anno fu la lettera ai cardinali de Luca, Pitra, e Hohezengrother per indurli a promuovere gli studi storici.

Si parlò pure dei doni sontuosi che egli fece alla sposa del nipote Camillo, donna Maria