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dito il concorso per quello, per il palazzo di Giustizia e per il Policlinico. I progetti per il primo dovevano esser presentati dentro il giugno 1884; per il secondo dentro il settembre dello stesso anno, e per il terzo in ottobre.

Architetti, capomastri, operai, tutti avevano dunque un largo campo d’attività; Roma doveva esser trasformata, e se l’impulso dato allora ai lavori fosse continuato per dieci anni almeno, Roma sarebbe divenuta una vera città moderna. Ma non precorriamo gli eventi. In quel tempo risveglio vi fu, e grandissimo, e tutti facevano a gara a dare sviluppo alla città.

Un lieto evento aveva rallegrato la Casa di Savoia: il 15 aprile nel castello di Nyphenburg il duca Tommaso di Genova aveva sposato la principessa Isabella.

Appena la notizia degli sponsali era stata comunicata, il Sindaco e la Giunta si erano recati al Quirinale per esprimere al Re il voto che le feste per le nozze si facessero a Roma. Si era inoltre costituito un comitato per i festeggiamenti, nel quale entrava pure la parte femminile di cui era presidentessa la duchessa di Gallese, e che teneva le adunanze al Campidoglio. Gli ufficiali intanto si esercitavano nelle armi per fare un carosello a Villa Borghese. Direttore di quella bella e nobile schiera era il generale conte Colli di Felizzano, e nelle quadriglie figuravano anche i senatori Vitelleschi e Sforza-Cesarini, i deputati Quarto di Belgioioso, di San Giuseppe, Ungaro e Colonna.

Gli sposi giunsero il 28 aprile e furono ricevuti con tutti gli onori possibili. La Principessa pareva sbalordita da tanto sfarzo, da tanta festa. Fu fatta una ritirata con le fiaccole e le signore presentarono alla sposa il loro dono consistente in una conchiglia naturale, montata in argento, e adorna dello scudo di Savoia e del monogramma formato da rubini, smeraldi e zaffiri.

Vi furono pranzi a corte, serate di gala e festeggiamenti pubblici in onore degli sposi, ma il carosello fu fra tutte le feste la più bella, e il colpo d’occhio che presentava la piazza di Siena con le quadriglie dei cavalieri bavaresi e di quelli sabaudi giostranti sotto il palco reale, era un vero incanto.

In quel carosello ebbe il posto d’onore il giovinetto Principe di Napoli, seguito da brillanti cavalieri, non certo di lui più saldi sul bellissimo baio coperto di maglia. Gli occhi di tutti erano fissi su di lui e sul palco dal quale la Regina, lievemente trepidante e orgogliosa, seguiva le evoluzioni del figlio nella vasta arena.

Il Re volle anche in quella occasione associare i poveri alla festa della sua famiglia, ed elargì ad essi 20,000 lire.

Alla fine di maggio fu inaugurato al Pincio il monumento di Ercole Rosa ai fratelli Cairoli. Vi erano tutti gli amici dei due giovani, i superstiti di quell’ardito tentativo, che terminò con un nuovo lutto per la famiglia Cairoli.

Gli arrestati per la commemorazione di Oberdank comparvero alla corte d’Assise in maggio e fra i loro difensori vi era pure Francesco Crispi, che disse insostenibile l’accusa di avere commesso reati capaci di provocare la guerra. Tutti gli accusati furono assolti, meno il Ferrari che aveva gridato «abbasso il colonnello austriaco!», il Tondi che aveva scritto articoli sovversivi nel Dovere e il Passero nel Ciceruacchio, i quali furono condannati a un anno di carcere e 500 lire di multa.

In giugno, i Sovrani ebbero la consolazione di ospitare al Quirinale la Regina di Portogallo insieme con i due figli. I giovani Principi non erano mai stati a Roma e Maria Pia volle presentarli alla sua famiglia.

Dopo un breve soggiorno qui, la nostra Regina condusse la cognata e i nipoti a Napoli, dove