Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/325


— 313 —

Nulla meglio di questa lettera può dar un’idea dello stato di mente di quell’uomo, che s’impose a Roma. Ecco quella prosa da manicomio:

« Sacra Reale Maestà,

«Roma, gloriosa da secoli, padrona del mondo, ha veduto tramontare l’antico splendore.

«Risorta nel 1870 a libertà per opera del vostro immortale suocero, che ha succhiata la libertà dai membri della dinastia, ma vive da dodici anni una vita di sussulto.... Non è questo che occorre alla città eterna, la quale deve essere la più gloriosa delle metropoli capitali e invece è affetta da lenta consunzione. Per farla risorgere nuovamente alla sua grandezza occorrono miracoli.

«...Siete voi il nodo gordiano fra il vecchio e il nuovo.

«...Il culto della patria vuole l’esposizione mondiale, ma occorrono anche altri grandi lavori.

«Lanciate dunque all’Italia l’appello per una sottoscrizione nazionale, coadiuvata dal vostro glorioso marito, e l’Italia risponderà unanime al vostro appello dando mano così a fare di Roma la più capitale fra le metropoli.

«Per il popolo di Roma:
«Il suo rappresentante
«F. Coccapieller».



Sempre in quell’osteria fra i litri e le fogliette Coccapieller chiese al popolo se la lettera gli piaceva, e il popolo rispose si; allora il tribuno disse: «Giacchè non ci hanno permesso di andare al Quirinale e che il popolo non può presentarsi alla Regina in carne e ossa, ci andranno le sue firme»; e promise che la lettera sarebbe stata sottoscritta da centomila cittadini.

Due o tre giorni dopo, nuovo comizio al Corea per il solito zibaldone di esposizione, di votazione della lettera alla Regina, e di presentazione di Ricciotti Garibaldi come candidato.

«La Roma d’oggi è ancora la Roma del 1870, diceva il tribuno. Tranne quello che si è fatto ab alto nella strada della via Nazionale, non si è fatto nulla.

« Bisogna cambiar sentiero.

« A Roma manca tutto.

«Manca lavoro, manca industria e si finirà per mancanza di fiato!

«Noi dormiamo, ecco tutto, e quando si dorme si sbadiglia, e quando si sbadiglia, le mosche....

«Prima che prendessi la parola io in Parlamento, che facevano gli uomini del Comune? Dormivano. Ma ora ci sono io, e io gli svegliero!

«Parlerò dell’esposizione, idea grandiosa e travaglio di Felice Orsini (voleva dir Cesare), un uomo che io ho veduto una volta sola. Ma a me basta. E ora gli si vuol togliere a lui quel travaglio, che lui ha confezionato. Perché gli si vuol togliere dal Comune?»

Il popolo impazientito zittiva; un delegato voleva far uscire i disturbatori. «Lasciateli fare» esclama Coccapieller senza sentirsi colpito dall’affronto «son gente che non capisce e bisogna compatirli». Ma il bello si è che nessuno capiva, e i fischi continuavano ad empire il teatro. Il tribuno non si lasciava turbare per così poco, e continuava: «Dunque l’invito fu fatto dalla monarchia e la monarchia deve fare l’esposizione, ecco perché io ho scritto la lettera alla Regina, perché trattandosi di toccare il cuore delle donne d’Italia è bene di rivolgersi alla prima delle donne italiane, alla madre morale dell’Italia.

«Da poi che ha preso a bersagliarmi la setta affaristica il mio giornale non va più fuori, non si vende più e ci rimetto e dovrò cessare le pubblicazioni, ma prima butterò fuori tutto quello che ho».