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plomatico, che vi è rimasto tanti anni, e fu appunto lui che condusse il giovane principe Enrico, nipote di Guglielmo I, in Vaticano. Il signor Schloezer rappresentava soltanto Guglielmo come re di Prussia, perchè gli altri Stati dell’impero avevano speciali rappresentanti. A Berlino non fu mandato nessun nunzio, perchè non vi era mai stato, e quello di Monaco trattava gli affari col Governo prussiano; ma Leone XIII poteva vantarsi di aver fatta cessare la guerra fra la Prussia e la Santa Sede.
Roma ebbe altre visite principesche in quell’anno, fra cui quella del granduca Wladimiro e della granduchessa Pawlowna, che si trattennero qui prima di recarsi a Palermo; quella del Re del Wurtemberg, del Re e della Regina di Sassonia, i quali andarono egualmente al Quirinale e al Vaticano.
Ma più che la visita di questi augusti personaggi fece effetto la venuta di Sarah Bernhardt, la grande attrice francese. Ella dette quattro recite al Valle, alle quali non mancò mai la Regina. Tutta la parte intelligente del pubblico romano affollava il teatro, e rimase affascinata dal genio dell’artista, più che dalla sua eleganza e dai suoi regali gioielli. Sarah abitava nell’albergo Bristol, e non si fece vedere altro che una sera alle signore romane, che volevano conoscerla, nel foyer del Valle. Le ore che le rimanevano libere impiegavale nel visitare i monumenti. Passò come una meteora lasciando vivo desiderio nei romani di udirla di nuovo.
La morte di Garibaldi e di don Augusto Ruspoli, deputato del secondo collegio, richiesero nuove elezioni, pro forma, perchè si sapeva che la Camera doveva essere sciolta, e ci fu poca lotta; maggiore fu quella per le elezioni amministrative in luglio. Trionfò tutta la lista concordata fra i giornali liberali, e l’Unione Romana rimase soccombente.
In quel tempo aveva cominciato a far parlare di sè Francesco Coccapieller, atteggiandosi a Catone e a vindice della morale conculcata. Aveva fondato un giornale: L’Eco dell’Operaio, e poi un altro: l’Ezio II, che il popolo chiamava Il carro di Checco, e camminava per Roma con gli stivaloni guarniti di sproni, il frustino, un cilindro a larghe tese e il revolver alla cintura. Così si era presentato in tribunale per rispondere delle accuse contro il de Mauro, e si sentì condannare a 6 mesi di carcere e a 500 lire di multa.
Non contento di questa pena che avrebbe dovuto scontare, il Coccapieller prese di mira altri cittadini, fra i quali il Parboni e poi tanti e tanti, ribattendo per giorni e giorni le accuse, senza curarsi delle smentite. Tutte le sere c’erano dimostrazioni a piazza Colonna, perchè il popolo si divertiva a quella sudicia guerra di penna, e col suo proverbiale scetticismo, rideva di quelli che rimanevano schiacciati sotto le ruote del carro di carta di Checco, che si diceva tanto sollecito del bene del popolo, e parlava un linguaggio cosi chiaro da farsi ben capire dai suoi lettori.
Tutta quell’onda di calunnie, quel flutto d’odio sollevato, non potevano portare ad altro che ad una tragedia, e quella si svolse nell’osteria della sora Amalia, in via Vittoria, ove il tribuno soleva passare la serata insieme col suo stato maggiore. Entrò in quella un decoratore, certo Capponi, seguito da Angelo Tognetti, il fiero popolano di Borgo, e gli chiese conto delle calunnie che spargeva contro tante persone. Il Coccapieller impugnò il revolver e fece fuoco; Angelo Tognetti sparò pure, ma era già ferito alla testa. Nell’osteria vi erano guardie travestite, fuori passeggiavano i carabinieri, e quelle e questi impedirono una carneficina. Coccapieller fu arrestato e portato via in carrozza, deludendo l’aspettativa del popolo che voleva strapparlo dalla forza; Angelo Tognetti fu portato allo spedale e messo sotto la sorveglianza delle guardie, e dopo fu arrestato anche Ernesto Capponi. Però il processo non si fece in quell’anno; se ne fecero altri cinque contro l’Ezio II,