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Questi sentimenti e la memoria di quelli dimostrati dal prode generale verso di me e la mia famiglia, mi fanno sentire doppiamente la gravità della irreparabile sua perdita.
«Associandomi al supremo cordoglio del popolo italiano ed al lutto della famiglia dell’estinto, io la prego di essere interprete presso della medesima di quella vivissima condoglianza che divido con l’intera nazione.
«UMBERTO».
L’Università fu chiusa, e il telegrafo non fece altro che trasmettere telegrammi di condoglianza a Caprera e la Camera dedicò alla memoria di Garibaldi tutta una seduta. Lungamente parlò l’onorevole Farini:
«Ora più non risuona, concluse il presidente, di Giuseppe Garibaldi la magica voce nella quale dolcezza e forza, mirabilmente sposate, imperavano cittadine virtù. Gli austeri e nobili lineamenti di quel maschio volto sono ormai inerti. Più non scintillano quegli occhi fiammeggianti e soavi, specchio dell’animo, animo invitto, del cuore mitissimo.
«Più non batte quel cuore, che non ebbe palpito che non fosse per la patria e per la libertà. Più non vive il grande, alla patria presidio, ai nemici spavento!
«Una sciagura nazionale pesa sull’Italia.
«Ma il nome di Giuseppe Garibaldi, scritto a lettere d’oro negli annali italiani, accanto a quello del Re liberatore, ravviverà di nuova fiamma il culto della patria: culto che compone i dissidii, ritempra gli animi, rinvigorisce i popoli alla tutela dei proprii diritti.
«Interprete vostro, io propongo che la Camera sospenda le sue sedute per riprenderle il 12 corrente; che prenda il lutto per due mesi coprendo di gramaglia la bandiera e l’aula; che una deputazione della Camera insieme con una rappresentanza della presidenza si rechi a Caprera per accompagnare la salma dell’estinto, che tutta la Camera assista alle onoranze funebri che gli saranno rese nella capitale del Regno, che a perpetua memoria di lui una iscrizione ricordi il banco che egli occupò in quest’aula.
«Tutti noi abbiamo avuto genitori morenti; ci sarebbe stato conforto che ci fossero conservati anche malati ed inerti. Questo conforto ci è conteso oggi per Giuseppe Garibaldi».
Il Governo aveva presentato in quella stessa seduta tre progetti di legge, che furono approvati alla quasi unanimità. Uno rifletteva il differimento della festa dello Statuto; il secondo assegnava ai cinque figli di Garibaldi e alla vedova una pensione vitalizia di 10,000 lire annue; il terzo stabiliva che i funerali sarebbero fatti a spese dello Stato e che un monumento nazionale sarebbe eretto a Garibaldi in Roma.
La Giunta Comunale riunita d’urgenza decretava di concorrere per 80,000 lire al monumento da erigersi sul Gianicolo; di collocare due tavole di bronzo nella sala del Consiglio sulle quali doveva essere inciso il diploma di cittadino romano inviato a Garibaldi e la lettera con cui egli accettò quella onorificenza; di porre un busto al Pincio, di mandare a Caprera un assessore e due consiglieri; di porre lapidi sulle case abitate dal generale; di tenere il lutto per due mesi alle bandiere e al seggio della Giunta, di sospendere le sedute fino al 12 giugno.
Si sapeva che il general Garibaldi aveva ordinato di volere essere cremato, che anzi aveva incaricato sua moglie dell’eseguimento della sua volontà, e indicava che doveva essere costruita una piccola urna di granito per accogliere le ceneri dei due coniugi. Il duca Torlonia fece scegliere subito da Augusto Castellani un’urna antica di granito e la consegnò al Presidente del Consiglio perchè fosse inviata a Caprera. Era una gara generale di pietà per onorare il grande cittadino che spariva. I giornali liberali di ogni partito inneggiavano a Garibaldi e nel vasto campo delle sue imprese