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Sorse un grido d’orrore a quel contratto e si capì un po’ tardi quanto fosse precaria la situazione dei giornali tra noi, appartenenti quasi tutti a ditte che potevano venderli come merce.

Il primo che si staccò dall’Oblieght fu l’on. Martini, il quale lasciò il Fanfulla della Domenica e il Giornale per i Bambini, sul quale per altro lasciò il nome, e andò a fondare col Sommaruga la Domenica Letteraria. Poi l’Arbib, che comprò la Libertà, poi il Torraca che abbandonò la direzione del Diritto, che fu comprato dal Civelli e ne prese la direzione l’on. del Vecchio; rimanevano all’Oblieght ancora l’Italie, diretta da un francese, l’Hardouin, il Fanfulla, di cui non era totalmente proprietario e che l’Avanzini riscattò nel luglio successivo, il Bullettino delle Finanze, il Bersagliere e il Pungolo di Milano, che credo vendesse poi a Leone Fortis. La combinazione andò in fumo, ma per molto tempo non si parlò d’altro a Roma che di quel fatto, e all’Associazione della Stampa ne discussero per più sere e, fatto strano, fu votato un ordine del giorno del mazziniano Fratti, direttore del Dovere, e dello Zanchi moderato, che lodava e approvava la protesta fatta dal giornalismo contro la vendita, ed esprimeva la convinzione che la stampa, grazie alla solidarietà di coloro che la rappresentavano, fosse sempre capace di conservare la propria indipendenza.

Però quel fatto fu fatale a molti giornali e a molti giornalisti. I giornali nelle mani di un uomo d’affari prosperavano; affidati, anche per la parte amministrativa ai direttori, decaddero rapidamente, perchè generalmente chi fa il mestiere del pennaiolo, non ha occhio per gli affari. Diversi di quei giornali sono morti, come la Libertà, il Bersagliere e il Pungolo; gli altri vivono ancora, ma non sognano più i tempi prosperi dell’Oblieght.

In tutto quello sconvolgimento la Rassegna settimanale si fuse con la Rassegna quotidiana, che fu diretta dall’on. Torraca.

Il fallimento dell’Unione Generale, di quella banca cattolica che travolse nella sua rovina tante case francesi e inghiottì il risparmio di tante e tante persone, si credè che dovesse avere un grave contraccolpo a Roma, perchè il duca di Bomarzo, il principe Bandini-Giustiniani e il marchese Merighi avevano alcuni anni prima fondato a Roma la Banca Cattolica, che era in istretti rapporti con l’istituto fallito. Ma dopo si seppe che essi se ne erano separati appunto perchè in quello era entrato il signor Bontoux, che aveva procurato la rovina dell’Unione e che il loro Banco di Roma non sarebbe stato per nulla coinvolto nella catastrofe. Ma chi soffrì del fallimento furono alcuni particolari, e il Vaticano.

Fra il gennaio e il febbraio la Camera compì un’altra parte, e forse la più essenziale del suo programma. Parlo della legge elettorale che dette a quasi tre milioni di cittadini il voto, mentre prima in tutta Italia erano appena 600,000 i votanti.

La legge elettorale era tornata dal Senato alla Camera con alcune modificazioni e appena approvata s’incominciò la discussione dello scrutinio di lista, abilmente staccato dal Depretis dalla legge elettorale. Pareva che dovesse incontrare gravi opposizioni, invece accettato che ebbe il Governo la rappresentanza delle minoranze nelle circoscrizioni alle quali erano assegnati cinque deputati, la legge passò, mentre nella Francia, retta a Repubblica, veniva quasi contemporaneamente respinta, provocando la caduta del Gambetta.

La Camera approvò pure il trattato di commercio con la Francia, la legge militare con un aumento di spese per più di 200 milioni. Mentre questa si discuteva venne di nuovo in ballo la quistione del tipo delle navi, e il ministro Acton fu salvato con la proposta di fare una inchiesta tecnica sui due tipi. Si discusse poi e si approvò il progetto di legge col quale s’istituivano a