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Simeoni e Monaco La Valletta, esecutori testamentari di Pio IX, da quattro canonici di San Pietro, dal Rettore di San Lorenzo e da molte altre persone fra cui il conte Pecci, nipote di Leone XIII.

Terminato quest’atto, la salma venne coperta con la coltre rossa e posta che su dinanzi all’altare della cappella del Capitolo, monsignor Folicaldi la benedì. Quindi fu trasportata sul carro funebre, tirato da quattro cavalli, che aspettava all’uscita della sagrestia. Dietro a questo erano sette carrozze. Nella prima prese posto monsignor Folicaldi col parroco del Vaticano, nella seconda quattro canonici di San Pietro, cioè i monsignori Negrotto, della Volpe, Casali e di Bisogno, nella terza monsignor Ricci maggiordomo del Papa, nella quarta i protonotari apostolici, e nelle altre il Rettore di San Lorenzo e alcuni dignitari della Corte pontificia.

Quando il corteo sboccò in piazza San Pietro vi era radunata una folla enorme e riunita una processione di circa 2000 fedeli con fiaccole e ceri in mano, che si pose dietro alle carrozze per accompagnare la salma recitando preci fino a San Lorenzo.

Le cose andarono bene fino a piazza Rusticucci, ma qui si cominciò a sussurrare fra la folla contro la provocazione dei clericali; questi fecero udir gridi di viva il Papa-Re e allora i sussurri si convertirono in urli ostili e cominciò il parapiglia. Ma dove la cosa si fece seria fu a Ponte Sant’Angelo. Il carro rimase separato dal resto del corteo, e fu un miracolo se i gridi «a fiume! a fiume!» non furono seguiti dal tentativo di toglier la cassa di sul carro. La folla che stava spettatrice del passaggio del corteo, non capiva nulla di tutto quel parapiglia, che accadeva fra la gente in coda di rondine e il popolaccio, e correva via sgomenta, mentre la turba degli schiamazzatori ingrossava sempre e in più punti della città si azzuffava coi clericali. I selci volavano e intanto quel carro imponente, a tutta corsa, quando trovava la via sgombra, dirigevasi verso San Lorenzo. A piazza di Termini ci fu una vera zuffa e anche lì il carro quasi per miracolo potè continuare la via per il Campo Verano.

Molti curiosi si trovavano sulla piazza quando vi giunse, trattenuti a distanza dai carabinieri e dalle guardie, che avevano chiesto rinforzi. L’apparire del carro fu salutato da fischi e urli, e nacque un nuovo tumulto. Si udirono gli squilli di tromba; le guardie fecero spenger le torce e, ottenuta un po’ di calma, la pesantissima cassa potè esser tolta di sul carro, posta su un carretto e spinta nella chiesa con grande precipitazione. In San Lorenzo la salma fu ricevuta da molti signori clericali, dai soci della confraternita della Morte, da quelli dell’Immacolata Concezione, dai cappuccini e dal capitolo, nonché da molte signore.

Fu rogato l’atto di consegna, e appena spinta la cassa nella cripta, s’incominciarono i lavori di muratura. Sulla lapide era stata incisa una semplice epigrafe come avevala dettata il Papa nel suo testamento,

La cerimonia terminava alle 3 e mezza di mattina, ma si può asserire che nessuno in quella notte andasse a riposare a Roma, tanto la città era stata turbata da quelle scene indecorose.

I giornali clericali, benchè la provocazione fosse partita dai loro e fosse stato appurato che molti fra quelli che seguivano il corteo erano ex-gendarmi e portavano armi, non ebbero più freno nel biasimare i fatti avvenuti, e il Governo aveva una grandissima paura delle complicazioni che essi potevano suscitare, e con un comunicato cercò di attenuarli. Il ministro Mancini inoltre inviava subito un dispaccio ai nostri ambasciatori e ministri all’estero. Furono arrestati sei schiamazzatori, c subito si pronunziarono contro di essi condanne esorbitanti, che suscitarono non poche proteste e altre dimostrazioni impedite. Al Senato mossero interpellanze al ministro dell’interno gli on. Alfieri