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e aveva abbattuto lo stemma di esso Circolo, nonostante che le autorità italiane c le francesi si fossero adoperate per impedire quel fatto.

Nuove notizie giunsero da Marsiglia sulla contro dimostrazione francese, sull’insulto alla nostra bandiera e si parlava vagamente di un gran numero di morti e feriti. L’eccitamento crebbe e gli on. Billia e Nicotera presentarono due interrogazioni al ministro degli esteri, il quale rispose nella seduta del 21 giugno che le collisioni fra operai italiani e francesi erano state gravi e si avevano a deplorare quattro morti e diciassette feriti. Peraltro bisognava esser calmi perchè il Governo francese aveva intenzione d’impedire il rinnovarsi di quei fatti. Egli poteva affermare che i rapporti fra i due paesi erano benevoli e concilianti, e che il giorno prima il ministro degli esteri di Francia aveva avvertito esser pronto ad entrare in negoziati con l’Italia per la conclusione del trattato di commercio e navigazione.

Alla Camera non ci fu voto, per non aggravare la situazione, e non si discusse neppure una interrogazione presentata dall’on. Francica su alcuni arresti di dimostranti avvenuti la sera prima. Quei dimostranti, col pretesto di acclamare il conte Pianciani, che era riuscito eletto insieme con molti clericali, volevano terminare con una chiassata contro la Francia, che il ministro dell’interno seppe impedire. L’interrogazione Francica venne in discussione il giorno seguente, quando ormai la dolorosa impressione erasi calmata.

In quella stessa seduta fu votata la riforma elettorale. All’ultimo momento il ministro dell’interno aveva abbandonato lo scrutinio di lista e la Camera stabilì che se ne facesse oggetto di uno speciale progetto di legge. Con questo giochetto l’on. Depretis pareva volesse acquistar tempo senza rinunziare alla promessa fatta, e intanto evitare dalla Camera un voto negativo.

Abolito il corso forzoso, era necessario contrarre un prestito per far ritornare l’oro in Italia e imprudente sarebbe stato in quel momento aprir negoziati con la Francia. Il prestito fu assunto con la Banca Nazionale la quale poi trattò col Credito Mobiliare e con le case inglesi Baring, Hambro e Raphael e con altri gruppi finanziari. La quota d’oro era di 640 milioni; la parte del prestito riservata all’Italia di 2.44, quella per l’estero di 400. Il prezzo era di 88,23 con godimento della rendita 1° gennaio 1882. L’emissione doveva farsi i giorni 11, 12 e 18 luglio e tutta l’operazione esser terminata entro il settembre.

Già nel luglio una parte degli stipendi agli impiegati fu pagata in oro e un gruppo di ammiratori presentò all’on. Magliani una medaglia d’oro nella quale da un lato era inciso il ritratto del ministro con una dedica e dall’altro si leggevano queste parole: «Profondo economista, insigne finanziere, liberò l’Italia dalla tassa del macinato e dal corso forzoso».

La calma estiva fu turbata da un fatto doloroso. Come ho detto, la salma di Pio IX era stata provvisoriamente tumulata in San Pietro, ma per volontà testamentaria del Pontefice quella salma doveva essere sepolta definitivamente nella Basilica di San Lorenzo fuori le mura. Per eseguire il trasporto fu scelta la notte dal 12 al 13 luglio, e il conte Vespignani, per incarico dei cardinali esecutori testamentari del defunto Pontefice chiedeva al Prefetto l’autorizzazione del trasloco della salma, dichiarando che il convoglio si sarebbe composto di un carro tirato da quattro cavalli e di poche carrozze. La sera a tarda ora, presente il Capitolo di San Pietro, il collegio dei Cardinali, il Rettore della chiesa di San Lorenzo ed alcuni dignitari della Corte pontificia, fu scalzata dai sampietrini la lapide della tomba provvisoria, da quella venne tolta la triplice cassa, che deposta su catafalco basso era aperta. Dopo di questa si apriva la seconda e quindi la terza, e riconosciuto il cadavere si rogava l’atto di consegna della salma, che veniva firmato dagli eminentissimi Mertel,