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Ai primi d’aprile morì l’Iacovacci, il noto impresario dell’Apollo conosciuto da tutti a Roma per il Sor Cencio. Egli morì così povero, dopo essere stato impresario per più di quarant’anni, che fu sepolto nella fossa comune e lasciò un debito col Comune di 95,000 lire. Peraltro ebbe un accompagnamento magnifico, degno di un principe, e dietro al suo carro funebre, coperto di ricche corone, si vedevano signori, consiglieri comunali, impresari, direttori d’orchestra, poveri coristi e uno stuolo di figuranti e ballerine. Il funerale fu fatto a San Salvadore in Lauro e la campana che suonò per la prima volta in quell’occasione era stata ordinata dall’Iacovacci per l’Apollo. Egli non aveva potuto pagarla e quando gli occorreva per uno spettacolo, prendevala a nolo. Poco prima che egli morisse, la campana fu comprata dal parroco, e sentendola suonare la prima volta, mentre il cadavere del Sor Cencio entrava in chiesa, il popolino ripetè con maggior insistenza che mai che il povero impresario era «jettatore e jettato».

L’Iacovacci era stato bene con i neri prima e con i bianchi poi. A tempo del Papa ogni momento faceva fare dimostrazioni in teatro con le bandierine bianche e gialle; venuto il 1870 ideò la marcia delle bersagliere nel Flik-Flok che gli fruttò immenso denaro. Vittorio Emanuele lo proteggeva e gli voleva bene e il «Sor Cencio» era tutto gongolante quando poteva mettersi la croce di cavaliere datagli dal Re. Tutti i maestri lo conoscevano e gli volevano bene perchè era intelligentissimo e bonario. Anche col Verdi era andato d’accordo e gli aveva messo in scena i Due Foscari, il Trovatore e il Ballo in Maschera.

Il Sor Cencio morì a tempo. Egli non ebbe il dolore di veder demolire l’Apollo in conseguenza dei lavori del Tevere, nè di veder l’Argentina assurgere a teatro comunale. Ma egli lasciò molte noie al Comune e dopo la sua morte le auguste gradinate del Campidoglio furono salite e scese di continuo da ballerine e da coristi che chiedevano di esser pagati ed erano irritati al massimo grado. Ma il Sindaco ebbe ben altre noie. Da una parte il vestiarista voleva mettere al sicuro la sua roba e gli eredi Iacovacci lo impedivano, vantando la proprietà di certi fiori e di certa tarlatana. Di qui proteste, intervento di guardie e reclami al Sindaco, e mentre questo accade, si presentano ballerine e ballerini a ritirare oggetti di loro proprietà e le guardie non lo permettono. Allora essi mostrarono di essere più agili di lingua che di gambe, e come se tutto ciò non bastasse, ecco i professori d’orchestra, che dovevan suonare la sera al Costanzi e volevano i loro strumenti.

Come ho detto, tutti questi litigi finivano nell’anticamera o nel gabinetto del Sindaco, al quale non mancavano neppure le lettere irritate della gente che aveva pagato e trovava il teatro chiuso.

Il Pianciani pagava un po’ il fio delle spensieratezze commesse nella precedente sua amministrazione, ma le pagava care. Egli propose di dare a ballerine e ballerini, che più strillavano, 80 lire. Alcuni dovevano averne 200 o 300 e furenti andarono al Campidoglio. Il buon Randanini, segretario del Sindaco, era assediato da mime e mimi, ballerine e ballerini, comparse e tramagnini. Gl’impiegati uscirono tutti fuori a goder della scena, e pareva che quella gente volesse anche scendere a vie di fatto contro il povero paciere, quando comparve l’assessore Luigioni. Su lui piovve una valanga di recriminazioni, tanto che dovette rifugiarsi nel suo ufficio e farlo difendere dagli uscieri. Il Sindaco chiamato di fretta, ricevè una deputazione, ma le cose non si accomodarono lì per lì. Il municipio pagò lesinando a chi l’intera paga, a chi metà, ma contentato alla peggio il corpo di ballo, ebbe alle costole pittori, fornitori di accessorii, vestiarista, coreografo, cantanti e anche la signora Lucca per il nolo della Regina di Saba. Il Comune fece transazioni, ma