Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 278 — |
sotto le finestre della sua casa in via Monte della Farina. A Roma produceva un grande effetto che uno dei cittadini fosse al ministero, ma per quanto i dimostranti gridassero, il Baccelli non si fece vedere e alcuni suoi amici dissero alla folla che egli non era in casa.
Ma non erano tutte rose quelle che si spargevano sul cammino del nuovo ministro. I giornali gli rammentavano che come cittadino di Roma aveva tre quistioni da risolvere: quella dell’Orto Botanico a Panisperna col prolungamento delle vie Viminale e Milano, desiderio non mai esaudito; quella dell’isolamento del Pantheon, e quella dei restauri al portico di Veio. Vedremo in seguito come queste due ultime questioni si risolvessero sotto il suo ministero.
I Sovrani, dopo i ricevimenti del Capodanno, dopo aver accolto al Quirinale i granduchi di Russia, erano partiti per visitare la Sicilia. Le LL. MM., il duca d’Aosta, il principe di Napoli, il presidente del Consiglio, on. Cairoli, e il ministro della Marina, avevano lasciato Roma col cattivo tempo. A Napoli essi dovevano imbarcarsi sulla «Roma», che sarebbe stata scortata dal «Duilio», il quale navigava per la prima volta, dalla «Principe Amedeo», dalla «Maria Pia» e dalla «Staffetta», che doveva, dopo accompagnati i Sovrani a Palermo, andare a Tunisi a prendere il principe Hussein, nipote del Bey, e la deputazione italiana guidata dal console generale Macciò, che si recavano a far atto d’omaggio al Re.
Il ministro Acton, che era nel treno reale, riceveva alle diverse stazioni di fermata, dispacci da Napoli sullo stato del mare, e tutti quei telegrammi indicavano che il tempo era cattivo e non accennava a migliorare. Il ministro trasmetteva quei dispacci al Re. Uno ne lesse la Regina ed ella, come risposta, vi scrisse sotto col lapis a grandi caratteri: «Il motto della mia casa è: Avanti sempre, Savoia!».
Il mare non sgomentava l’Augusta Dama e i Sovrani s’imbarcarono senza indugio su quella «Roma» che teneva male il mare e aveva un forte rullio, mentre il maestoso «Duilio», che suscitava tante apprensioni, navigava magnificamente e le onde che battevano furiosamente contro i suoi fianchi poderosi, lo facevano appena oscillare.
Moltissime persone avevano seguito i Sovrani nel loro viaggio e fra quelle tutti i deputati e senatori siciliani, e diversi direttori di giornali. A Roma si leggevano avidamente i telegrammi recanti le notizie delle festosissime accoglienze che il Re e la Regina avevano ovunque.
I Sovrani, traversando lo stretto di Messina, andarono in Calabria, e di là si restituirono alla capitale il 28 gennaio alle 2 dopo la mezzanotte. Essi trovarono alla stazione una folla di dimostranti, non sgomentati dal freddo, né dall’ora tarda, e che li seguì con fiaccole fino al Quirinale. Il Principe ereditario, ammalatosi leggermente durante il faticoso viaggio, era rimasto a Napoli per rimettersi, ma pochi giorni dopo tornava a Roma guarito.
La Camera, che aveva preso il lutto per la morte dell’on. Eugenio Corbetta, non incominciò i suoi lavori altro che il 1° febbraio, e l’on. Massari prese subito di mira il nuovo ministro Baccelli accusandolo di ateismo per la nomina dell’Ardigò, e gli on. Giovagnoli e Trinchera lo interrogarono per sapere quali misure intendeva prendere contro il direttore del Museo Kirckeriano, il quale avendo mosso causa per diffamazione al Popolo Romano, che rivelava i gravi disordini avvenuti nel Museo, aveva avuto una sentenza contraria.
Alla prima interrogazione l’on. Baccelli rispose con una certa violenza sostenendo che della fede non doveva curarsi il Governo, al quale spettava soltanto l’affermare impavido l’umano sapere; alle seconde replicò evasivamente. Erano scaramucce quelle e il ministro dovè sostenere in seguito ben più violenti attacchi.