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porta di quella chiesa e piansi come un bambino per dieci minuti. Dopo seguii il reggimento de Borghese fino a piazza Navona, ove fece i fasci dei fucili e si accampò. Là fui testimone di scene commoventi. I popolani, che fraternizzavano con i nostri soldati, con vero entusiasmo, volevano ristorarli dalla fatiche e chiesero al colonnello il permesso di offrir loro prosciutto e vino. Il colonnello prima storse la bocca, ma poi non volendo recar dispiacere a quella brava gente, permise che fossero distribuiti cibi e bevande. E allora tutti facevano a gara a offrir quanto avevano ai nostri soldati, li baciavano, li facevano parlare, li acclamavano senza stancarsi di ripetere: «Almeno questi li capimo!»

«Dall’angolo del palazzo Braschi vidi comparire monsignor Santarelli, che era stato nunzio in Baviera, buon prete e buon Italiano; egli si avvicinava ai soldati timidamente, recitando una prece latina. Quando mi disse: «Vorrei vederli da vicino questi bravi figliuoli, specialmente i bersaglieri».

«Lo guidai dal lato della piazza dov’erano accampati i bersaglieri, ed essi gli fecero una calorosa accoglienza, che commosse il buon prete, tanto da farlo piangere. «Ora sono contento» disse, e si allontanò.

«Quel giorno vidi un altro prete far dimostrazione festosa ai nostri soldati. Era il padre Scarpizza, curato della Minerva e corrispondente dei Corriere delle Marche; egli scese in piazza con una enorme coccarda tricolore sullo scapolare nero».

Nino Carnevali, il noto autore del quadro «Il re a Napoli durante il colera del 1884», mi descrive così ciò che egli vide:

«Abitavo a piazza Venezia. Fino dalla notte era stato collocato davanti alll’imboccatura del Corso un cannone con la miccia accesa. In avamposti erano distribuiti alcuni carabinieri. Quando già tonava il canone e si udiva il fuoco continuo della moschetteria, passò a cavallo il fratello del colonnello Charette, diretto verso San Giovanni. Questo Charette aveva un baffo biondo e uno bianco ed era conosciutissimo a Roma. Passava pure correndo il Crostarosa, sergente delle guardie urbane, con la sua elegante uniforme scura e il cappello alla calabrese. Vedendo il de Charette, gli gridò: «Buona fortuna!» e continuò a correre.

«A un certo momento della mattinata si udì un gran vocio. Erano i popolani che si erano impossessati del cannone carico di Porta del Popolo, sul quale stava a cavalcioni il povero Melacotta e si avvicinavano a piazza Venezia. A quel vocio vedo ancora il carabiniere, che era in avamposto guardarsi intorno smarrito, sfilarsi il fucile, posarlo in terra e darsela a gambe. Da noi si udivano fischiare le fucilate che sparavano dall’Ara Coeli gli zampitti.

«Delle trasformazioni se ne videro in quel giorno: Ricci-Carbastro, battistrada del Papa, che aveva altri dieci nomi, fu visto con una piccola coccarda all’occhiello, e gli fu strappata».

Una signora che stava in casa Aiani, alla Longaretta, nella famosa casa ove fu uccisa Giuditta Tavani-Arquati, così racconta il 20 settembre:

«Dalla mattina cominciammo ad udire il rumore delle artiglierie lontane e di quelle più vicine del Bixio, che comandava la divisione di Porta San Pancrazio. Avevamo tutti una gran paura, benché le palle cadessero senza esplodere. Nella nostra casa ne cadde una in cucina, sfondando il tetto e mandando in frantumi tutti i vetri. Gli uomini erano fuori in cerca di notizie, e noi donne, spaventate, stabilimmo di rifugiarci in cantina. Scendevamo le scale quando incontrammo i nostri mariti e fratelli, che ci recarono le prime ed incerte notizie dell’attacco. Salimmo allora sulla terrazza e poco Bixio cessava il fuoco, mentre sulla cupola dì San Pietro veniva issata la bandiera bianca.