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visita ai Sovrani, che erano alle corse, e che per questo non vide. Il Re e la Regina le restituirono la visita, e la invitarono spesso al pranzo di famiglia, e Margherita di Savoia l’accompagnò a far gite e passeggiate.
La principessa Vittoria non perdè un minuto di tempo. Ella visitò tutto insieme col professor Helbig, e andò ancora nello studio del pittore Vertunni e del Monteverde, ed accettò un pranzo che le offrirono donna Laura e il cav. Minghetti. Dopo Roma la principessa andò a Napoli e nel ripassar di qui si trattenne brevemente.
In primavera morì a Roma il comm. Pericle Mazzoleni, che era stato fino a pochi giorni prima prefetto della provincia e al momento della morte era senatore. La sua perdita dispiacque perchè egli era persona onesta e simpatica.
In quell’anno a Roma si era istituito un comitato per fare una esposizione nazionale, quando il signor Cesare Orsini messe fuori l’idea della esposizione mondiale e fondò anche un giornale per propugnarla. Il comitato raggranellato dal cav. Orsini si componeva di don Felice Borghese principe di Rossano, del principe don Placido Gabrielli, del duca Leopoldo Torlonia, del comm. Eduardo Gioia, del comm. Pietro Pericoli, del cav. Angiolo Mortera, dell’avv. Urbano Rattazzi, del marchese Gliulio Merighi, del comm. E. d’Amico, i quali avevano sottoscritto la seguente dichiarazione:
«I sottoscritti, intesa la relazione fatta dal signor Cesare Orsini, convinti di promuovere una esposizione mondiale a Roma a termine fisso, vale a dire per gli anni 1885-86, nel principale intendimento di stimolare le fonti della produzione nazionale, si costituiscono in comitato promotore allo scopo di predisporre tutti quegli atti che saranno necessari all’attuazione di questa grandiosa idea».
I principi, gli uomini eminenti di ogni paese applaudirono alla iniziativa dell’Orsini, forte lottatore, entusiasta della propria idea, anzi invasato assolutamemte da quella, come tutti coloro che sanno tradurre le idee in fatti. Ma Roma non era preparata a quella grande festa del lavoro e lo capiva. Ella seppe opporre all’iniziativa dell’Orsini quella grande forza negativa dell’inerzia, che oppose in seguito a tutti quelli che volevano l’esposizione, e stancò con la sua apatia l’indole intraprendente di lui. Allora molti sbraitarono, ora forse quelli stessi riconoscerebbero che l’inerzia fu provvidenziale. Roma non è città, né centro di commercio, non aveva raggiunto ancora quel grado di sviluppo relativo che ebbe in seguito, e non era terreno adatto per la mostra mondiale, e neppure nazionale. Difatti aborti pure il progetto di una esposizione limitata ai soli prodotti italiani, e Roma si fece vincere la mano da Milano e da Torino, come se l’è lasciata vincere anche in seguito tutte le volte che qualcuno ha tentato di raccogliere i capitali per una esposizione.
L’Istituto di Propaganda Fide non aveva mai voluto riconoscere la legge sulla soppressione delle corporazioni religiose, e per conseguenza rifiutava di accettare le disposizioni che lo riguardavano. I beni immobili dell’Istituto, nel 1880, non erano stati ancora convertiti in rendita, l’Istituto aveva ricorso al tribunale. Esso stabilì che tutti i beni di Propaganda Fide, rustici e urbani, erano soggetti a conversione e dovevano essere venduti all’asta pubblica. Peraltro, una parte importante di quei beni proveniva dalla eredità del cardinale Ercole Consalvi, il quale nominava suo erede fiduciario universale monsignor Buttaoni e lasciava appunto all’Istituto il suo cospicuo patrimonio.
I parenti del Consalvi, quando fu promulgata la legge del 1873, fecero pratiche per rivendicare il patrimonio, e appena pronunziata la sentenza del tribunale fecero opposizione, basando questa sul fatto specialmente della non osservanza di alcune clausole del testamento. La questione non doveva risolversi tanto presto. Vedremo in seguito per quali fasi essa passò prima di essere definita.