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Il Re dunque, col solito cerimoniale, inaugurò il 17 la terza sessione della XIII legislatura, ma nel recarsi a Montecitorio passò per la prima volta da via Nazionale e dal Corso e si servì delle berline di gala acquistate dal Sala di Milano nel 1868 per il suo matrimonio, e delle magnifiche livree fatte dal sarto Testori. Anche il treno della Regina fu tutto rinnovato e quella insolita pompa produsse un grande effetto nel popolo che si accalcava sul passaggio del corteo reale. Nel discorso che pronunziò il Re, e che fu accolto bene, disse che il fondatore del Regno aveva lasciato come supremo legato all’Italia risorta la riforma del sistema tributario a sollievo delle classi povere, e l’allargamento del diritto elettorale, che quelle due quistioni erano un sacro debito verso la venerata memoria di lui e verso la giusta aspettazione del popolo.
Con molto tatto il Re accennò al concorso governativo per Roma, aggiungendo:
«Nella passata sessione il Parlamento seppe nobilitare la carità, resa necessaria dalle stagioni inclementi, volgendola a stimolo di lavoro. Ora il mio Governo vi presenterà alcuni disegni di legge per l’esecuzione di molte opere produttive, nell’intento di dare un vigoroso impulso all’attività nazionale. Gravi ragioni consigliano a comprendere fra queste le indispensabili alla salubrità ed al decoro di Roma, la quale creò l’unità e la grandezza della prima Italia, e non deve ospitare l’Italia nuova solo in mezzo ai ricordi della passata fortuna».
Il Re annunziò pure che sarebbe stata presentata alla Camera la legge comunale, quella per la legislazione penale e per il codice commerciale e un progetto per nuove spese militari.
A presidente della Camera fu eletto a primo scrutinio l’on. Farini e in una delle prime sedute fu votato un ordine del giorno di plauso agli uomini che avevano ideato e costruito il Duilio, per i bei risultati che avevano dato le prove della nave. Ma la parte importante della discussione non fu quella. Il ministro della marina, on. Acton, colse quella occasione per esternare le sue idee e mise sul tappeto la quistione delle navi grosse e delle navi piccole, quistione che s’invelenì poi e divise la marina in due campi.
I progetti di legge, annunziati nel discorso della Corona, furono presentati, e la Camera accettò la proposta del presidente del Consiglio, che cioè quello della legge elettorale venisse assunto nello stadio nel quale era giunto nella passata sessione.
Una delle prime scaramucce si ebbe il 25 febbraio.
Ho parlato già della riunione tenuta a Napoli dalla Associazione Costituzionale. L’on. della Rocca, presentò una mozione di biasimo contro l’on. Minghetti per le parole pronunziate a Napoli. I Centri e la Destra si opposero per salvaguardare il principio della piena libertà di parola dei deputati fuori della Camera, e vinsero.
Le apprensioni sulla politica estera del Gabinetto erano assai vive, e la Camera, impaziente di vedere svolgere le interpellanze che piovevano al ministro degli esteri, deliberò di anticipare la discussione di quel bilancio.
L’on. Marselli fece notare i sospetti che si addensavano contro l’Italia, la necessità di dissiparli e dimostrò che la questione dell’Italia irredenta esponeva l’Italia redenta al pericolo di perdere un’amicizia che doveva essere il cardine dei suoi rapporti internazionali. Il fuoco aperto così dall’on. Marselli fu continuato dal Visconti-Venosta, il quale parlando per più di tre ore e bersagliando il Governo con accorgimento e forza, toccò tutte le questioni e principalmente quella egiziana, nella quale sentivasi forte davvero, perchè sotto il regime della Destra, e mercè lo Scialoja, l’Italia aveva conquistato colà una bella posizione. Anche lui condannò la condotta del Governo