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nitaria, della Società degli orafi, di quella dei parrucchieri, dei tappezzieri, dei beccai, dei Pesaresi residenti a Roma, e della Unione emancipatrice. Alla tomba erano di guardia il generale Lerici e il capitano Bonelli dei Veterani.

Tutto il giorno migliaia di persone andarono in pellegrinaggio al Pantheon e il registro si copri di innumerevoli firme, ma tutti quelli che l’affetto guidava in quel luogo, deploravano che la tomba del Gran Re fosse così meschina, e che in due anni non si fosse fatto ancora nulla per dargliene una più degna.

Il 16 furono celebrati al Pantheon i funerali a cura dello Stato. Sul frontone del tempio si leggeva:


a dio ottimo massimo

governo e popolo

innalzano preci funebri anniversarie

per l’anima

di re vittorio emanuele ii

padre della patria


Ai funerali assisteva tutto il corpo diplomatico, fra cui il nuovo ambasciatore d’Austria, conte Wimpffen, i grandi dignitari dello Stato e della Corte. Tutti i gradini del tumulo erano coperti di corone.

Fu ripetuta la messa del Cherubini e le parti di concerto vennero eseguite dai tenori Bonucci, Martinelli e Pepe, dai bassi Nannetti, Argenti, Bottero e Giormali.

È fino da quell’anno che la Filarmonica Romana prese sola ad eseguire la musica ai funerali del Pantheon con un impegno che le ha valso larga lode.

Dopo la metà del gennaio la Corte d’Appello emanò finalmente la sentenza con cui scioglieva il matrimonio Garibaldi-Raimondi e dopo poco giungeva notizia qui che il Generale aveva sposato a Caprera la madre dei suoi due ultimi figli, sciogliendo il voto più ardente della sua vecchiaia. A Camera chiusa, il Governo non ebbe un momento di pace; e non tanto per la guerra che gli faceva la Destra, guerra molto blanda, quanto per gli attacchi dei giornali del suo stesso partito, rispecchianti le idee di questo o di quel capo gruppo. La Riforma, ostilissima all’on. Cairoli, rimproverava al Gabinetto di non avere avuto il coraggio di creare 50 o 60 senatori per costringere il Senato a cessare il conflitto fra i due rami del Parlamento sulla quistione del macinato, e il Bersagliere era anche più violento. Secondo quel giornale i ministri avevano portato al governo il medesimo sistema che avevali distinti nella guerra mossa agli stessi amici loro quando erano al potere; avevano rimpiccolita l’arte della politica all’artifizio, e governavano senza programma. Un giorno non vedevano altro che il conflitto, un altro il macinato o la morte, un terzo i senatori da nominare. «E avessero almeno la virtù di condurre in porto una sola di queste loro idee, un solo di questi propositi! - esclamava il giornale del Nicotera - Che? Dicono tanto per dire e non tengono altro che all’apparenza, e incoraggiano un andazzo, dal quale risulta una educazione politica che non potrebbe dare peggiori risultati».

Il 16 febbraio, alla vigilia della apertura della Camera, comparve la lista ufficiale dei nuovi senatori. Ma il Governo, come aveva preveduto la Riforma, s’era contentato di far le cose a metà. I nuovi senatori erano 26, numero insufficiente a spostare la maggioranza dell’assemblea, e fra di essi vi erano il general Corte, prefetto di Firenze, il comm. Mazzoleni, prefetto di Roma e il Casalis, prefetto di Torino.