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di guisa che cominciarono a fermentare e fu giuocoforza buttarli nella cassetta dello spazzaturaio. E fu quella la sola speculazione dell’Office franco-italien.

«Era allora a Marsiglia un altro esule italiano, il M.....o, impiegato presso la casa Michel Jeune et Cie, in grazia del livornese Malenchini, che aveva banco in quella città. Cercavano i Michel notizie di una nuova macchina inventata a Parigi. Il M....o a cui era capitato sott’occhio un manifesto dell’Office, scrisse al Carini dandogli incombenza di quelle indagini. Cosi cominciò un carteggio che durò più mesi e nel quale i due poco trattavano di cose commerciali, molto delle loro speranze nel risorgimento d’Italia.

«E nacque l’idea d’un giornale. Detto fatto. Il M....o raggranellate poche centinaia di franchi lascia insalutato hospite i Michel e va difilato a Parigi. Era il settembre del 1854; si preparava la Mostra universale dell’anno dopo e pareva quello il momento più d’ogni altro opportuno alla pubblicazione di un giornale che facesse per le relazioni intellettuali del popolo francese e italiano ciò che all’Office non era riuscito per le commerciali.

«Da quel giorno nell’Office non si parlò più che della futura gazzetta. Si discusse per quindici giorni ogni minuto particolare che a quella si riferiva: e fiduciosi dell’esito, baldi di nuove speranze, intervenivano a’ convegni Pietro Maestri (che esercitava a Parigi la medecina), Michele Amari, Atto Vannucci, Gilberto Govi insieme con parecchi giovani francesi divenuti notissimi nelle lettere, come il Baschet, il Paradis, e quel Dalloz, che fu sotto l’impero direttore del Moniteur Universel.

«Al solito nulla mancava, tranne i danari. Per buona sorte il Carini si sovvenne che in non quale occasione egli aveva fatto non so quale servizio ad Emilio de Girardin; ricorse a lui; e il Girardin ottenne alla Revue Franco-italienne tre mesi di credito per le spese di carta e di stampa dagli editori della Presse, giornale politico che egli dirigeva a quel tempo.

«L’Eldorado si schiudeva innanzi agli occhi abbacinati dei poveri italiani, s’eran trovate finalmente le sorgenti del Pattolo, s’era posto finalmente il piede sulla via di Golconda.

«Dai modesti stambugi a piano terreno, il Carini salì al mezzanino; empiè di mobilio elegante, di tappeti sfarzosi, scaldo a furia di caminetti quattro stanze ampie, aereate; dette amorevoli cure fino alla cucina, dove, bensì, in sei mesi, non si accese il fuoco una volta sola, neppure per eccitare con una tazza di caffè il cervello dei collaboratori!

«Perchè anche quei dolcissimi inganni si dileguarono; la Revue ottenne in Italia accoglienze non si può dir quanto festose: da più che cento giornali ebbe saluti ed augurii; da soli quattro uomini di buona volontà sottoscritta la cedola d’associazione. Anche a Parigi parole cortesi, lodi smaccate a iosa, e nient’altro: cosicchè il Carini fu un giorno costretto a mettere in pegno l’orologio per sopperire alle spese di posta, per le quali neanche il Girardin poteva ottenere gli si facesse credenza.

«Nulla valse a trarre da quelle angustie il nuovo giornale; non il suscitare fiere polemiche con altri fogli; non il confutare gli spropositi del Perrens che i romanzi del Rosini vantava eccellenti sopra i Promessi Sposi; non l’accaparrare la penna svelta e gaia del napoletano de Lauzières, oggi mutato in marquis de Thémines; nulla valse a vincere la fortuna, finchè essa stessa non si risolvè ad aiutare spontantea il Carini e i compagni di lui.

«La Revue divenne Courrier, andò a piantare i suoi uffici in un bel primo piano sui Boulevards, e aggiunse alla parte letteraria la commerciale. Pietro Maestri fu allora il più assiduo degli estensori di quel foglio, ove Gilberto Govi, sotto il pseudonimo di Guilbert, scriveva gli articoli di teatri e di mode!

«La fortuna sorrise dunque questa volta agli operosi e ai dabbene; ma per non dismettere in tutto l’antica crudeltà sua, sorrise loro troppo tardi; poco prima cioè che al Carini fosse dovere di respingere le offerte sue.

«A un tratto le stanze del Courrier divennero silenziose e deserte. Il tipografo vi cercò inutilmente chi gli fornisse l’originale. Gli scrittori erano volati, come gaio stormo di rondini, verso le prode italiane. E il direttore, rispondendo alla chiamata di Garibaldi, vestiva oramai la casacca dei Cacciatori delle Alpi!...»