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mai, nonostante i concerti musicali, la fortuna dei suoi proprietari. Poi passò in mano dei creditori dell’ultimo proprietario, i quali stabilirono di aprirlo in novembre.
L’ultimo caffè che si chiuse, almeno provvisoriamente, fu il Caffè Nazionale più volgarmente conosciuto sotto il titolo di Caffè delle Convertite, posto sull’angolo della via di questo nome ed il Corso.
Il Caffè Nazionale acquistato dal signor Aragno, ricco liquorista, prima si trasportò altrove, accanto al palazzo Chigi, e poi tornò nella sua antica sede sotto il palazzo Marignoli, ov’è adesso.
Altri due caffè rimanevano peraltro, quello di Roma e quello del Parlamento, quest’ultimo sull’angolo di via Cacciabove, dove si svolgeva allora tutta la vita politica di Roma. Si riusciva sempre difficilmente ad ottenere un tavolino, e dopo le sedute parlamentari, e la sera fino ad ora tarda, il caffè era sempre affollato di gente.
Anche il Valletto, il teatro che aveva fatta la delizia dei bimbi e del popolino, e sul quale si rappresentavano le truci scene del brigantaggio e gli amori maneschi dei burattini, era stato sacrificato dal marchese Capranica, che aveva bisogno d’ingrandire il suo palazzo. Roma perdeva ogni giorno qualche tratto caratteristico della sua fisonomia, per prenderne altri meno attraenti forse per gli artisti, ma più conformi all’aspetto che si richiede a una città civile.
Il Papa aveva preso l’abbrivo nel creare cardinali; oltre a quelli che ho citato, altri ne creo in agosto, e furono: monsignor Jacobini, nunzio a Vienna, monsignor Meglia, nunzio a Parigi, monsignor Cattani, nunzio a Madrid, monsignor Sanguigni, nunzio a Lisbona. L’Jacobini rimase a Vienna; nella nunziatura di Parigi fu mandato monsignor Czastky; a quella di Madrid monsignor Bianchi; a Lisbona l’Aloisi-Masella. Al posto di lui a Monaco venne nominato monsignor Roncetti; nel concistoro nel quale creò cardinali i sullodati, il Papa pronunziò la notevole enciclica prescrivente le dottrine di San Tomaso d’Aquino.
Il Re tornò a Roma dopo la metà di novembre per la riapertura della Camera; la Regina accompagnò. Ella aveva avuto una grave ricaduta a Monza e i medici le avevano consigliato l’aria e la quiete di Bordighera.
Il gabinetto Cairoli, che aveva governato senza Camera, era dimissionario. Furono tentati accordi col Depretis per farlo entrare nel Ministero e riuscirono. Il 23 novembre il nuovo Gabinetto si presentava al Parlamento così composto: Cairoli, esteri; Depretis, interno: Magliani, finanze; Villa, grazia e giustizia; Baccarini, lavori pubblici; Ferdinando Acton, marina; Bonelli, guerra; Miceli, agricoltura. Al portafoglio della pubblica istruzione non fu provveduto subito.
Il Cairoli, nelle sue prime dichiarazioni al Parlamento, disse che il Governo avrebbe mantenuto il pareggio, anche abolendo la tassa sul macinato sui grani inferiori.
Il Sella rilevò subito alla Camera le ragioni della dimissione del gabinetto. Esse consistevano nell’avere il Grimaldi, nuovo al ministero, studiato i bilanci, ed essersi accorto che il pareggio era illusorio, ed evidente, il disavanzo. Il Cairoli sostenne che la crisi era avvenuta per le divergenze fra i ministri sulla applicazione della legge, che aboliva il macinato. Allora sorse il Grimaldi a dichiarare che avrebbe parlato in altro momento, ma che intanto affermava che l’aritmetica non era una opinione.
Queste parole avevano un significato per i deputati. Il Grimaldi, dopo studiato i bilanci, si era convinto che vi sarebbe stato un disavanzo con l’abolizione del macinato, e dimostrava nel Consiglio dei ministri la necessità di nuove imposte, e di votarle subito per poter sostenere validamente l’abolizione al Senato. Questo dissenso era stato la cagione del rimpasto ministeriale.
Prima della fine dell’anno vi fu un incidente rispetto alle preziose maioliche di Castel Gan-