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non era facile, perché le passività erano molte, innumerevoli gli abusi e grandissimo il numero degli impiegati inutili.

Egli si diede ad esaminare da sé ogni cosa, introdusse saggie economie, migliorò i possessi che erano d’onere più che di vantaggio all’amministrazione, mise in ritiro molti impiegati inutili e che non si sarebbero assuefatti a un regime più razionale e più severo, ed ebbe la soddisfazione di vedere in breve l’ordine sostituito al disordine. Il nipote di Urbano Rattazzi, Urbanino, come era chiamato il giovane avvocato, figlio del commendator Giacomo, gli fu in questo intricato e difficile lavoro di grande aiuto, e il Re per questo gli ha serbato grande riconoscenza.

La Regina si era imposta altri compiti. Ella visitava gli ospedali e le scuole e a questa pia occupazione ne univa un’altra più grave e più intimamente cara: quella dell’educazione del figlio. Ella si era prefissa di farne un uomo colto e modernamente educato. Il giovane Vittorio Emanuele toccava i dieci anni, già il Re di Spagna gli aveva inviato il Toson d’Oro, che gli fu consegnato dal conte di Coello, e occorreva toglierlo dalle mani delle governanti e prepararlo a studi più seri. Da quelle istitutrici aveva imparato il francese, l’inglese ed il tedesco ed aveva ricevuto l’insegnamento elementare; doveva cominciare per il giovane Principe un secondo periodo d’istruzione più seria. La Regina gli mise a fianco il prof. Cesare Mariani, uomo colto e buon pedagogo, per l’insegnamento dell’italiano; da altri professori fecelo iniziare alle scienze ed ella stessa si addossò il resto dell’istruzione del figlio. Lo conduceva sempre seco, ne apriva l’intelligenza ponendogli sott’occhio oggetti artistici, facendogli visitare musei, e ne destava la curiosità con letture bene scelte. Frattanto ne educava il gusto per la musica col condurlo al teatro e col volere che assistesse alle piccole feste musicali al Quirinale. Queste erano frequenti e riuscivano belle. La Regina prendeva lezioni di canto dal maestro Vera, e con lei cantavano donna Laura Minghetti, che aveva una bella voce di contralto, e il marchese Villamarina di Montereno, che cantava di basso. Talvolta Margherita di Savoia invitava anche qualche cantante celebre e qualche maestro. Una volta furono invitati Stagno, che cantava all’Apollo, e il Marchetti. La Regina cantò col celebre tenore il duo del Faust e alcune romanze del Tosti.

La previdente madre assuefaceva anche il Principe al vivere sociale, riunendo ogni domenica intorno a lui molti fanciulli della sua età, e il Principe doveva far loro gli onori di casa, dirigere i giuochi e offrire i rinfreschi. I piccoli amici che solevano andare al Quirinale erano molti, e la più schietta giocondità presiedeva a quelle riunioni infantili, nelle quali Vittorio Emanuele dava prova di avere gli stessi gusti del nonno in fatto di cibi, perché sdegnava i dolci e i gelati e diceva di preferir di molto a quelle ghiottonerie una fetta di salame e un pezzo di cacio, che mangiava di nascosto.

Gli amici del Principino erano i Teano, i due de la Penne, i due de Renzis, Umberto Pallavicini, Umberto Cesarini, le due Francesetti, e i Villamarina. All’educazione civile del Principe la Regina provvedeva facendolo assistere ai ricevimenti delle diverse deputazioni, e specialmente di quelle operaie, che esponevano al Re i loro desiderii, i loro bisogni, e gli dimostravano il loro affetto.

Nella primavera di quell’anno morirono due uomini che avevano avuto grande notorietà, uno fu il prof. Paolo Volpicelli, insigne scienziato, che aveva fatto adesione ai vecchi cattolici firmando l’indirizzo dei suoi colleghi al canonico Doellinger. Prima di morire ritornò in grembo alla Chiesa Cattolica, sconfessando le dottrine propugnate. Il Checcatelli fu l’altro insigne uomo che spari, ma senza rinnegare la sua fede liberale. Ebbe un trasporto soltanto civile e largo rimpianto fra gli amici, i quali dopo gli eressero un monumento al Campo Verano.