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passando dalle breccie fatte nei muri di cinta delle vigne si avvicinavano da sant’Agnese a Porta Pia, per far tacere il fuoco di fucileria, che cagionava non poche perdite fra gli artiglieri delle batterie di posizione. Un battaglione del 40° fanteria occupò alcune case discendenti da Villa Patrizi e incominciò a rispondere ai difensori del Castro Pretorio. Una sezione di artiglieria vi diresse alcuni tiri così bene aggiustati da rimuovere anche i più ostinati dal proposito di tenere quel posto, mentre il 35° battaglione bersaglieri e un battaglione del 59° fanteria, con slancio ammirevole, attraversando un terreno raso, scoperto e battuto da una gradine di palle, si portavano all’assalto di Villa Patrizi, che domina un’altura a sinistra di Porta Pia. I pontificii, vedendoli, si ritiravano dentro le mura della città.

Mentre questo avveniva le artiglierie battevano sempre la breccia, e pezzi di mura volavano. Alle 9 la breccia era di trenta metri.

Appena villa Patrizi fu occupata e venne inalberata sul palazzo la bandiera nazionale, cessava il fuoco d’artiglieria e verso la breccia venivano dirette le colonne d’attacco.

Quella di destra si componeva della divisione Maze de la Roche e quella di sinistra della divisione Cosenz. La prima aveva in testa il 12° bersaglieri col 2° battaglione del 41° fanteria, e la seconda il 34° bersaglieri con una una parte del 19° fanteria, e un drappello zappatori.

Fu allora che sul Castro Pretorio si vide inalberare la bandiera bianca. Si cessò il fuoco; peraltro si continuò ad avanzare. Ma giungendo le nostre colonne sotto le mura, furono ricevute da un vivo fuoco. Si vuole che i difensori della breccia e della Porta, non avessero veduto il segnale di resa del Castro Pretorio.

Fu quello, dalla parte dei nostri, un momento di sublime entusiasmo. Il 1° battaglione del 35° fanteria, muove arditamente all’assalto del terrapieno inalzato dinanzi alla porta. Al suono dei tamburi che battono la carica, al grido di «Savoia! Savoia!» che molti di quei soldati avevano pronunziato chi a Palestro, chi a San Martino, chi a Calatafimi, a Milazzo, e a Custoza, saltano nel fosso, superano il parapetto. Il general Maze col suo stato maggiore, il generale Angelino con la sciabola in pugno, sono in mezzo ai soldati e l’entusiasmo dà loro il vigore e l’elasticità giovanili. I soldati li acclamano. Intanto con entusiasmo eguale e con eguale ardimento, si supera il rialzo di terreno che è dinanzi alla breccia, e si penetra nella villa Bonaparte. Nella nobile ambizione di penetrare i primi rivaleggiano il 12° bersaglieri e il 41° fanteria, il 55° fanteria comandato dal Borghese, romano, e una compagnia del 19°.

Gli zuavi oppongono qualche resistenza, ma dopo si arrendono.

A Porta Maggiore, quando il Ferrero spingeva le sue colonne all’attacco, venne inalberata bandiera bianca.

Un emigrato, che era partito da Firenze, aveva fatto tutte le tappe insieme col 4° Corpo, e da Sant’Agnese si era spinto fin sotto le mura, così mi descrive il passaggio della breccia:

«Ero mezzo matto; una specie di frenesia mi aveva invaso, e mentre l’artiglieria batteva Porta Salara e Porta Pia, mi spingevo dinanzi ai pezzi senza curarmi delle palle che fischiavano e provocando le vive rimostranze del capitano Grifoni, e degli altri ufficiali.

«Appena le colonne mossero all’attacco, senza rendermi conto del pericolo che mi minacciava, tanto più che non avevo armi, corsi in mezzo a loro. Sulla breccia mi trovai mescolato al 31° bersaglieri e vidi un ufficiale in terra bocconi, con le braccia stese. Gridai ai bersaglieri: «Questo è il vostro maggiore!» Essi non lo credevano. Mi chinai e lo rialzai. Era il povero maggior Pagliari, già morto per una palla che, entrandogli dal collo, gli era uscita sotto la sca-