Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/248


— 236 —

tarono un album contenente più di 100,000 firme di congratulazione per essere scampato all’attentato, e di devozione. L’album era squisitamente ornato d’intagli, e il Re gradi moltissimo il gentile pensiero e parlo con affetto agli operai. La Regina, che assisteva al ricevimento, s’intrattenne pure con gli operai informandosi con premura delle loro condizioni ed encomiando quelli che dicevano di volersi inalzare con lo studio.

Ai primi d’aprile di quell’anno Garibaldi giunse quasi improvvisamente a Roma e andò ad abitare in via Vittoria. Tre giorni prima d’arrivar qui era a Caprera con Menotti e con Achille Fazzari. A un tratto accennò il proposito di partire subito, e senza ascoltare le rimostranze del figlio e dell’amico, che temevano per lui il disagio del viaggio, chiese telegraficamente un vapore a Rubattino. Ebbe la «Sardegna», che giunse a Caprera con un tempo da far paura. Garibaldi si fece portare a bordo sotto una pioggia dirotta e volle partire senza indugio. Egli prese il comando del bastimento, che dovette lottare con la burrasca per giungere sul continente. La mattina dopo il Generale era a Civitavecchia, e poche ore più tardi a Roma. Tutti ignoravano quale fosse lo scopo di questo viaggio improvviso, ma presto si conobbe.

Il Re mandò subito da Garibaldi il general Medici e due giorni dopo vi andò egli pure e si trattenne lungamente da solo col generale, il quale andò pochi giorni dopo a restituirgli la visita. Il Re, per non farlo scendere dalla carrozza, perchè i dolori lo tormentavano più che mai, scese in giardino, salì nella carrozza di Garibaldi e conversò con lui amichevolmente.

Questo scambio di visite meravigliò non poco, perchè si era letta recentemente sui giornali una lettera di Garibaldi a Pais, che diceva:

«Mio caro Pais,

Quando il Re avrà fatto prospera l’Italia, egli meriterà la gratitudine nostra; quindi avete fatto bene.

«Vostro
«G. GARIBALDI».


Va notato che il Pais non era voluto andare con la Società dei Reduci incontro al Re, al suo ingresso a Bologna, e di questa astensione informava il Generale.

Ma la meraviglia per le visite cordiali scambiate fra il Re Umberto e Garibaldi doveva crescere ancora.

Per il 21 aprile Garibaldi aveva indetta delle sale della «Associazione dei diritti dell’Uomo», una riunione democratica. Gl’inviti diramati erano 91; gl’invitati che si trovarono radunati il giorno indicato 70, fra i quali Alberto Mario, i deputati Avezzana, Campanella, Carducci, Cavallotti, Bertani, Bovio, Aporti, Mayr, Menotti Garibaldi; i signori Canzio, Pantano, Pais, Fabris, Alessandro Castellani, Valzania, Scifoni, Nathan, Parboni, Martinati, Imbriani ecc.

Appena entrato nella sala della riunione, il general Garibaldi pronunziò il seguente discorso:

«Cari amici,

«Io vi ho chiamati per ordinare le sparse forze della democrazia repubblicana e parlamentare d’Italia a un’opera comune e a un fine comune.

« Epperò non dobbiamo occuparci di quelle cose nelle quali siamo discordi, sibbene di quelle nelle quali siamo unanimi.

« Io credo che siamo tutti d’accordo nel riconoscere il profondo malcontento di tutta Italia, malcontento per cause economiche, politiche e morali.