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Si dice che a Roma tutto diventi eterno, ed eterne divenivano tutte le quistioni quando in cominciavano ad andare da Erode a Pilato.

È un fatto che la nessuna stabilità del Gabinetto era una delle ragioni, se non la principale, delle lungaggini, dell’incaglio dei lavori e anche di quella miseria che la carità non riusciva a lenire.

Alcuni lavori d’iniziativa privata per altro si facevano. Il signor Costanzi, proprietario dell’albergo di quel nome, faceva costruire fra la via Torino e la via Firenze un grandioso teatro sui piani dello Sfondrini di Milano. Il signor Wedekind, facoltoso banchiere tedesco, aveva acquistato l’antico palazzo della Posta in piazza Colonna e sui piani dell’architetto Gargiolli ricostruivalo. Ora sarebbe già una rovina se non vi lavorassero da due anni, ma in quel tempo i muri non mostravano ancora i difetti di costruzione che hanno mostrato dipoi, e quel palazzo migliorava molto la piazza Colonna. Anche la Camera di Commercio volle preparare un locale per riunirvi la sala della Borsa e i proprii uffici, e fece ricostruire in piazza di Pietra la vecchia Dogana. Si trattava di conservare all’antico monumento il carattere primitivo, perchè l’imponente colonnato faceva parte un tempo delle Terme di Antonino, e di adattarlo a un uso moderno. L’architetto Vespignani fece il piano di quel palazzo e il 14 marzo fu posta la prima pietra del nuovo edifizio, nel quale si sono poi riuniti gli agenti di cambio e i borsisti, invece di continuare, come in passato, a far le contrattazioni in piazza Colonna.

Anche il ponte di Ripetta fu inaugurato per la festa del Re. Era stato costruito nella officina Cottrau a Napoli per cura di una società straniera di cui era rappresentante e direttore il conte Cahen d’Anvers, uomo ricco e amantissimo d’arte, il quale si adoperò molto per l’incremento del quartiere dei Prati di Castello.

L’inaugurazione si fece con una certa pompa e quel ponte fu un’opera veramente utile e dette sviluppo alla costruzione di un quartiere, che, senza di esso, non sarebbe mai sorto. Appena era stato messo mano ai lavori del ponte era incominciata, pure in Prati, la costruzione del Politeama Reale, e alcuni signori avevano gettate le fondamenta di villini e palazzi. I primi a costruire nel nuovo quartiere furono i due fratelli Odescalchi, poi il conte Cahen e il conte di Coello. L’inaugurazione del ponte aveva resa necessaria la costruzione della via Reale. I Prati di Castello, che erano una landa abbandonata, mercè il ponte di Ripetta furono nei giorni festivi, visitati da migliaia e migliaia di romani. Era un divertimento per loro di passeggiare in quella parte sconosciuta della città, e l’affluenza dei visitatori vi fece subito sorgere osterie e trattorie. Negli altri giorni le signore, che facevano la trottata sulla via Flaminia, tornavano in città per la via Angelica e il nuovo ponte. Il Re faceva sempre quel giro, e anche la Regina soleva attraversare i Prati per entrare in città. Si pagava il pedaggio e all’estremità del ponte vi era un posto di doganieri, perchè da quel lato la sponda del Tevere segnava la cinta daziaria di Roma. Toto Bigi, il famoso barcaiuolo che faceva transitare con la sua barca il Tevere ai Romani, non perdè nulla col nuovo ponte. Egli fu nominato primo ricevitore del pedaggio, e vestito con la nuova ed elegante divisa prese possesso del casotto; e divenne un oggetto di curiosità per i passanti.

All’iniziativa privata si doveva pure il grande Albergo Continentale in piazza della stazione, che fu terminato avanti che spirasse l’anno.

Per il 14 marzo il Re ebbe molti attestati di devozione e d’affetto. Le rappresentanze di circa 300 società operaie guidate dal senatore Pepoli, dall’avvocato Ferdinando Berti, dal conte Procolo Isolani, dal professor Luigi d’Apel, dal cav. Vincenzo Lodi, dal cav. Pietro Savioli e dai signori Giuseppe Cuccoli, Raffaele Bozzoni, Silvio Minghetti, Ugo Amorini ed Enrico Zironi, gli presen-