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e poi il marchese Alessandro Guiccioli, il barone Blanc, e una quantità di emigrati, fra cui Raffaele Erculei, il Bezzi, Napoleone Parboni, Mattia Montecchi, il Francici, tutti impazienti, tutti frementi dal desiderio di penetrare dentro Roma, di vederla libera.
Ma se al campo regnava quell’agitazione, che precede un grande fatto, a Roma regnava la costernazione. I cittadini per timore degli eccessi degli zampitti se ne stavano tutti chiusi in casa.
Il Papa era uscito il giorno 12 per inaugurare in piazza di Termini la fontana dell’Acqua Marcia, la quale fu ribattezzata Acqua Pia in suo onore. Dopo, passando per le vie interne della città e più prossime alle mura, andava a visitare i soldati posti a difesa dei forti; vi andò anche il 19, e al soldato che era in avamposto alla Porta San Giovanni, distribuì crocette e benedizioni.
La mattina dopo quel soldato moriva. Per le vie non si udiva, di giorno e di notte, altro che lo scalpitio lugubre delle pattuglie degli zampitti, il cigolio sinistro delle catene dei galeotti, che andavano a lavorare alle barricate. Fu un avvenimento il passaggio del general Carchidio, bendato, in una carrozza. Egli andava a parlamentare con Kanzler il giorno 18, affinché la città si arrendesse senza resistenza. Gli fecero fare lunghi giri per Roma, e passò anche dal Babbuino. Il suo passaggio richiamava la gente alla finestra.
Il 18 cadeva in quell’anno di domenica e all’alba Roma fu desta dalle cannonate dei pontificii, alle quali gl’Italiani non risposero. Il lunedì avvenne lo stesso e mentre i clericali riacquistavano speranza ritenendo che i nostri soldati si sarebbero fermati alle porte contentandosi di una dimostrazione militare, i liberali erano prostrati e abbattuti.
Intanto gl’Italiani nella notte fra il 19 e il 20 avevano prese le posizioni assegnate dal comandante in capo. La divisione Bixio, come si è detto, era giunta a Porta San Pancrazio, quella Angioletti a San Giovanni, quella Ferrero fra San Lorenzo Porta Maggiore, la divisione Cosenz a Porta Salara stendendosi fino a quella del Popolo, la divisione Maze de la Roche a Porta Pia. Il quartier generale era a Sant’Agnese e nella notte erano stati abbattuti i muri che dividevano le vigne ai due lati della Via Nomentana, per agevolare il passaggio delle colonne d’attacco. Quella mattina i cannoni delle porte incominciarono a tirare e i romani credevano di non udire risposta, come nei giorni precedenti; invece l’artiglieria della 9ª divisione da Porta San Giovanni rispondeva. Erano le 5 1/2 e quello fu il segnale dell’attacco. Da ogni lato i cannoni battevano la città.
Il cannoneggiamento di Porta Pia era diretto dal maggiore Luigi Pelloux. Da villa Torlonia si cercava pure di paralizzare la difesa di Porta Pia e battere il Castro Pretorio. Il capitano Grifoni, bel giovane fiorentino, dai lunghi baffi biondi, batteva la Porta Salara dalla Villa dei Gesuiti, detta Casino degli Spiriti, e si raccomandava con energiche bestemmie, che gli emigrati stessero a riparo, perchè di dietro le mura e i terrapieni le palle fischiavano.
Intanto il Cadorna, spingendosi sempre più avanti, aveva portato il Quartier Generale a Villa Albani, e dall’Osservatorio dominava l’attacco. Mentre col canocchiale guardava la cerchia delle mura, avvolta ne! fumo, una palla sfioravagli l’orecchio. Il generale Kanzler stava sul Belvedere del casino Rospigliosi; il Papa circondato dal corpo diplomatico, celebrava la messa e poi attendeva costernato.
L’artiglieria pontificia di Porta Pia dopo 3/4 d’ora cessava il fuoco, ma dal Castro Pretorio, dalla caserma del Macao e da Villa Patrizi partiva un vivo fuoco di fucileria, alimentato dai carabinieri esteri del colonnello Jeannerat, che si stendevano fino a San Giovanni, e avevano a Termini la riserva.
Verso le 7 era incominciato il movimento in avanti, nonostante il fuoco dei carabinieri esteri.
Le colonne di fanteria, coprendosi alla meglio a destra con gli accidenti del terreno, ed a sinistra