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Il 1879.
Nella vita dei popoli, come in quella degli individui, a un periodo di tempo di forti commozioni ne tiene dietro quasi sempre un altro di profonda apatia o di raccoglimento.
Nell’anno 1878 il popolo di Roma era stato troppo spesso agitato da dolori profondi e da gioie vivissime, aveva dato sfogo così di frequente ai propri sentimenti, che dovette naturalmente riposarsi e raccogliersi in se stesso.
Questo medesimo fenomeno si manifestava anche nel resto d’Italia; si voleva vivere in pace ad ogni costo con tutti, ma senza programma determinato, così nella politica interna, come in quella estera. La manifestazione di questo stato d’animo del popolo italiano scorgevasi chiaramente rispecchiata nel terzo ministero, che l’on. Depretis aveva formato alla fine dell’anno precedente. Mancava in quello anche il ministro degli esteri, e quel decastero, come l’altro dell’interno, era retto dal Presidente del Consiglio, segno certo che la politica estera non avrebbe avuto nessun carattere spiccato. L’Italia si sarebbe studiata di mantenersi in buoni rapporti con le potenze estere, prendendo cosi, giorno per giorno, senza un piano prestabilito, quei provvedimenti atti a mandare avanti la baracca alla meglio. Eppure in Europa, era appena scomparso il pericolo di una guerra, si doveva applicare il trattato di Berlino, e nell’Afganistan ferveva un conflitto nel quale potevano essere trascinate, oltre l’Inghilterra, altre nazioni; e accennando a quel conflitto, non ho accennato che a una sola delle questioni importanti. Ma l’Italia pareva che avesse esaurita l’energia e rimanesse indifferente a tutto.
A Roma da più tempo era stata sollevata una quistione serissima: quella del concorso governativo ai lavori edilizi; eppure anche questa era trattata con una certa indifferenza, benchè tutto ri-