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Intanto si aspettava l’incoronazione del Papa, che si suol fare in San Pietro. Quando a tratto si sparse la notizia che il Papa sarebbe stato incoronato la domenica 3 marzo nella cappella Sistina, perchè il Governo, interrogato se sarebbesi fatto mallevadore del mantenimento dell’ordine, aveva risposto di non poter garantir nulla. Forse questo si fece credere a Leone XIII, che in pochi giorni era già divenuto prigioniero dei suoi, ma non era la verità. Il Governo non fu interpellato mai e senza essere interpellato aveva già disposto il servizio per la Basilica di San Pietro. Quando si seppe che l’incoronazione si sarebbe fatta nella Sistina, si disse che il Papa avrebbe benedetto il popolo dalla loggia e sulla piazza furoro schierati due battaglioni di soldati, e per tutto guardie e carabinieri; ma gl’invitati che avevano assistito alla incoronazione uscirono dal Vaticano alle 2, e il Papa non si mostrò.

Ciò dispiacque in quel momento, e Roma non dimenticò così presto quel fatto.

Fu l’unica nuvola che oscurò la pace di quei giorni in cui il Governo italiano aveva voluto provare che la Chiesa era libera sotto la sua egida, e il Vaticano dal canto suo, con la speditezza dei lavori del Conclave e la serietà che lo circondò, come erano falsi i racconti che si facevano sui Conclavi precedenti.

Leone XIII seguitò a destare il malcontento della gente vaticana assuefatta al governo ben diverso del suo predecessore, il quale lasciava che le piante parassite gli crescessero intorno. Non piacque la nomina del Franchi a Segretario di Stato, e il non essersi piegato alle antiche consuetudini che concedevano tre mesi di stipendio alle guardie svizzere per l’elezione del nuovo Pontefice, gli procurò la noia dell’ammutinamento di quel corpo. Dovette cedere e aumentare lo stipendio. Gli svizzeri continuarono a tumultuare, istigati forse da altri malcontenti, e il Papa ne fece rimpatriare 37, cioè quasi la metà.

Appena eletto il Papa, venne a Roma la missione inglese guidata dal duca d’Abercorn per investire il Re dell’ordine della Giarrettiera, inviato dalla regina Vittoria al nostro Sovrano. La cerimonia si compiè nella sala degli specchi al Quirinale con tutta la pompa richiesta.

Il 7 marzo il Re inaugurò la seconda sessione della XIII Legislatura e dovette rivolgersi ai rappresentanti della nazione parlando a nome di un ministero quasi disfatto. Il discorso incolore fu accolto con poco entusiasmo, però il Re fuori del Parlamento ebbe una dimostrazione calorosa. Quella stessa giornata erano state presentate e accettate le dimissioni del Crispi, attaccato nella sua vita privata, e il Depretis per fare un ultimo tentativo di tenere insieme il Gabinetto, aveva preso l’interim dell’interno.

Il Cairoli fu eletto presidente della Camera a primo scrutinio, e il Depretis annunziò nella seduta successiva le dimissioni del Gabinetto in seguito alle mutate condizioni della Camera. Il Re, per ricompensarlo dei servizi prestati al paese e alla monarchia col suo ministero n. 2 gli mandò le insegne del collare dell’Annunziata.

Il 26 marzo finalmente il Cairoli, che aveva ricevuto l’incarico dal Re di formare il nuovo Ministero, ne annunziò la composizione alla Camera. Vi entrarono lo Zanardelli come ministro dell’interno, il conte Corti come ministro degli esteri, il Sesmit-Doda come ministro delle finanze con l’interim del tesoro, il Baccarini come ministro dei lavori pubblici, il De Sanctis come ministro dell’istruzione pubblica, il generale Bruzzo come ministro della guerra, l’ammiraglio Di Brocchetti come ministro della marina, il Conforti come ministro di grazia e giustizia.

Il Cairoli annunziò alla Camera un modesto programma di lavori: l’inchiesta ferroviaria, una legge per la costruzione delle ferrovie più importanti, nuovi sussidi per l’inchiesta agraria e la riforma elettorale. A presidente della Camera fu eletto l’on. Farini.