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desimo dissuadere, dimostrando che se la Sede della Chiesa partiva, non sarebbe tornata più e il Governo si sarebbe impossessato del Vaticano. Nello stesso tempo tastava le opinioni dei cardinali più influenti, servendosi di monsignor di Marzio, che era vicario del cardinal Bartolini, il quale abitava al palazzo Falconieri a via Giulia, ove dimorava pure il cardinal Pecci. Questi aveva assistito il Bartolini durante una penosa malattia e ne aveva conquistato l’affetto. Monsignor di Marzio era pure amico dei cardinali de Luca e Panebianco, ambedue siciliani ed influenti. Così il Ministro dell’interno dal palazzo Braschi, si può dire che avesse una spia nel Sacro Coilegio, e non è improbabile che appena seppe che il Bartolini, il quale non era mai stato un ammiratore di Pio IX, che voleva vedere sulla Cattedra di San Pietro un diplomatico con mano ferma, e raccomandava a tutti il Pecci, lo facesse incoraggiare in questo proposito. Il Crispi doveva aver letto il libro Il Papa futuro pubblicato dal Bonghi pochi mesi prima la morte di Pio IX, nel quale designava il Pecci come Papa, e da quella lettura avea dovuto certo capire che il cardinale più adatto per reggere nel tempo presente la Santa Sede era senza dubbio l’arcivescovo di Perugia, del quale il general Carini avevagli lodato la moderazione e la carità, accoppiate ad una intelligenza pronta, ad una cultura vastissima, e ad un criterio retto ed assennato.

Mentre il cardinal Pecci reggeva il Vaticano, durante la vacanza papale, non seppe conciliarsi molte simpatie. Il primo atto che dette nell’occhio, fu l’ordine imposto di ripulire le carrozze, quasi egli ammettesse che il nuovo Papa non dovesse condannarsi alla prigionia nel Vaticano; il secondo l’aver concesso al Vespignani che facesse i piani per i lavori del Conclave, mentre questa incombenza spettava al Martinucci, che poi difatti li eseguì; il terzo la durezza che mostrò verso il Macchi e altri funzionari di Pio IX. Cosi si diceva per Roma, che il Pecci invece di acquistarsi simpatie, pareva si studiasse di alienarsele.

Gli ultimi tre giorni dei novendiali, secondo il prescritto, il Sacro Collegio celebrò nella Cappella Sistina i funerali in onore di Pio IX, con tutta la pompa richiesta, mentre nella sala Regia attigua a quella, nella sala Ducale e in tutta quella parte del Vaticano riserbata al Conclave, si dava l’ultima mano alle abitazioni dei cardinali, e tavole e troni erano affastellati per esser trasportati nella Sistina appena terminate le funzioni. Come è noto, quando il Conclave si tiene in Vaticano, è nella Sistina che sono eretti i troni cardinalizi e si fanno le votazioni. Il tubo delle sfumate era a destra del parafulmine che torreggiava sul timpano della Cappella Sistina, e si poteva vedere dalla piazza San Pietro. Contrariamente all’uso, il Camarlengo aveva disposto che il pranzo per i cardinali e per i conclavisti fosse fornito dalle cucine vaticane; il solo Hohenlohe volle gli fosse portato dalla cucina propria. La porta che conduce alla scala del Bernini era stata murata come quella che mette al cortile di San Damaso, e a questa era stata posta una delle ruote, per mezzo delle quali i cardinali potevano conferire con gli ambasciatori. Maresciallo del Conclave era il principe Chigi. Quella carica è ora ereditaria nella sua famiglia. Fu creata da Nicolò V, per ricompensare Luca Savelli, che impedì ai baroni Romani di ricuperare il loro diritto di voto, e allo spengersi della famiglia Savelli passò nei Chigi. Capitani del Conclave furono nominati i signori Alessandri, Leonardi e Tosi, addetti alle cancellerie apostoliche. Un corpo di guardie nobili e svizzere era posto nel cortile di S. Damaso all’ordine dei capi del Conclave.

Il Maresciallo del Conclave ha diritto, come il Camarlengo e il Maggiordomo, di batter moneta. Il principe Chigi si valse nel 1878 di tale diritto, e distribuì ai cardinali le medaglie d’oro prima che entrassero in Conclave. Esse portano sul fronte lo stemma di casa Chigi e di casa Sayn-Wittgenstein, dalla quale è uscita la principessa Chigi, e sul rovescio si legge: