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Le università erano disertate dai chierici, e l’accademia dei nobili ecclesiastici era popolata da figli di droghieri, o di agricoltori. Questo fatto notevole, che si verificava da oltre mezzo secolo, aveva alterato l’indole del collegio dei cardinali, e l’antico grido della plebe di Roma: volemo er Papa romano, sarebbe stato assurdo. Infatti bisognava risalire fino a Benedetto XIII, Orsini, per ritrovare un Papa romano, ossia retrocedere di un secolo e mezzo.
E da questo fatto, che ogni giorno più chiaramente si verificava, conseguiva che la elevazione dei natali, la finezza della educazione, il tatto sociale, la politica pratica, non erano più le doti principali o le più diffuse del collegio dei cardinali, e la tradizione romana dell’arte di Governo andava ogni di più estinguendosi. Il Baretti scriveva più di un secolo fa che i nobili romani ed i prelati erano gente di mezzana coltura, ma che l’ultimo fra essi conosceva a meraviglia l’arte di governare e la scienza politica.
E la inferiorità dei cardinali italiani era tanto più spiccata, quando si raffronti colla scienza e la elevata coltura di parecchi cardinali stranieri, taluni appartenenti a nobilissime famiglie, ma tutti, o quasi tutti, letterati, e teologi di grido.
Nondimeno non era da temersi la elezione di un cardinale straniero al papato; l’antica consuetudine, la preponderanza dell’elemento italiano, allontanava il pericolo di veder sedere sulla cattedra santa un papa straniero, di cui l’ultimo esempio fu il fiammingo Adriano VI, eletto per volere di Carlo V.
Riguardo ai partiti in cui si divideva il S. Collegio è da ricordare che v’era la parte spagnuola, la parte imperiale e la parte francese; nel 1878 tale divisione non era più possibile non avendo le corone (la Francia non aveva corona) quella influenza che prima esercitavano sul S. Collegio per l’antica tradizione e per l’importanza di ciascuna corte. Come divisione generica, i cardinali si distinguevano in zelanti e politici. I primi erano i rigidi sostenitori delle idee teologiche e delle pretese ecclesiastiche, e volevano conservare la supremazia della chiesa facendo guerra alle esigenze dei tempi, della politica e delle corti; i secondi erano temporeggiatori e moderati che si acconciavano alle circostanze e volevano vivere in pace colle corti, coi principi e colle repubbliche. Anche nel 1878 tale nomenclatura era possibile, avvertendo soltanto che per zelanti s’intendevano i fautori del sillabo, della infallibilità pontificia e del potere temporale, mentre la fazione politica era quella che voleva la pace della chiesa, conciliando i diritti della religione con quelli dello Stato, e senza transigere intorno ai dogmi ed alla disciplina, teneva conto delle esigenze dei tempi e della società civile moderna.
Parlare di partito liberale nel collegio cardinalizio sarebbe stato farsi una singolare illusione. Pio IX aveva in animo di nominare cardinale nel 1848 il Rosmini, ma dopo la fuga a Gaeta se lo cacciò dal petto ove l’aveva riserbato; e non solo non nominò cardinale nessuno di quei prelati che si erano chiariti liberali, ma fece stentare il cappello a Pentini e Mertel unicamente perché avevano fatto parte dell’alto consiglio (senato) da lui stesso creato. Inoltre la porpora fu negata agli uomini di scienza e di elevato carattere, e quindi non l’ebbero Gioberti, Theiner, Sibour e Ventura, come non l’ebbero l’Audisio ed il Dupanloup.
In questo Pio IX era dissimile a Gregorio XVI, che non temeva la scienza e creò cardinali Mezzofanti, Mai, Pecci di Gubbio ed altri senza tener conto che della loro dottrina ed onestà.
Quelli che potevano avere una tinta liberale, o quanto meno vedevano senza paura o con qualche affetto il meraviglioso risorgimento d’Italia erano morti: due naturalmente, cioè il Grassellini e il De Silvestri; due di crepacuore per i duri trattamenti avuti dalla corte e dal Papa stesso,