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Fallito questo tentativo pacifico, dettato dal rispetto e dalle convenienze, il 4" Corpo passava il confine e il comandante in capo emanava il segnente proclama:

«Italiani delle Provincie romane,

«Il Re d’Italia m’ha affidata un’alta missione, della quale voi dovete essere i più efficaci cooperatori.

«L’esercito, simbolo e prova della concordia e dell’unità nazionale, viene tra voi con affetto traterno per tutelare la sicurezza d’Italia e la vostra libertà. Voi saprete provare all’Europa come l’esercizio di tutti i vostri diritti possa congiungersi col rispetto alla dignità e all’autorità spirituale del Sommo Pontefice. La indipendenza della Santa Sede rimarrà inviolabile in mezzo alle libertà cittadine, meglio che non sia mai stata sotto la protezione degli interventi stranieri.

«Noi non veniamo a portare la guerra, ma la pace e l’ordine vero. Io non devo intervenire nel Governo e nelle amministrazioni, a cui provvederete voi stessi. Il mio compito si limita a mantenere l’ordine pubblico e a difendere l’inviolabilità del suolo della nostra patria comune .

«Terni, 11 Settembre 1870.

«Il Luogotenente Generale
«comandante il Primo Corpo dell’Esercito
«R. CADORNA ..



Il comandante in capo del 4° Corpo con la 11ma la 12ma e la 13ma divisione passava il confine a Ponte Felice, la divisione Angioletti lo passava a Ceprano e la divisione Bixio a Orvieto giungendo a Montefiascone senza colpo ferire. La sera tutta la guarnigione degli zuavi abbandonava la città.

Il 10 già a Terracina si faceva una imponente dimostrazione al grido di «Viva il Re» e una deputazione di otto notabili presentava un indirizzo al sotto prefetto di Formia chiedendo che la città fosse occupata dalle truppe italiane. Soriano, Bomarzo, Castiglione, Celleno e Farnese insorgevano al grido di «Viva il Re». Civita Castellana si arrendeva dopo il cannoneggiamento, ma Ugo Pesci, che in qualità di corrispondente del Fanfulla seguiva le truppe, dice che la popolazione non mostrò nessun entusiasmo. Egli aggiunge che la guarnigione di zuavi si componeva di vecchi e giovani, di poveri e ricchi, di fanatici e di scettici, un’accozzaglia dunque inetta a resistere sia per lo scarso numero dei difensori, che per l’insufficienza dei mezzi di difesa. Charette, il famoso colonnello francese, il fanatico paladino, fugge con i suoi da Viterbo e si rifugia a Roma.

Il 14 intanto il Bixio era giunto con la sua 2a divisione sotto le mura di Civitavecchia. Egli mandava subito a intimare la resa al colonnello Serra, che occupava la piazza con le truppe pontificie. A quella intimazione il colonnello rispondeva chiedendo 24 ore di tempo a decidersi e si riserbava la facoltà di proporre certe speciali condizioni. Il generale Bixio accordava solo 12 ore e chiedeva la resa incondizionata. La mattina del 15 allo spirare della dilazione accordati e mentre l’esercito italiano si preparava all’attacco dalla parte di terra e la squadra si teneva pronta ad aprire il fuoco, il colonnello Serra capitolava, chiedendo solo che la corvetta da guerra «Immacolata Concezione» rimanesse agli ordini del Pontefice.

Firmata la resa, la «Terribile» della squadra italiana, con bandiera spiegata, entrava nel porto. Il Bixio allora, lasciando a guardia della città un certo numero di soldati s’incamminava su Roma.

Nello stesso giorno del 14 uno squadrone di Lancieri Novara, reggimento che faceva parte della riserva, era giunto a Sant’Onofrio, forse per impedire che gli zuavi, che erano a Monte Mario,