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di Tarquinio: Pio IX accoglieva tutto e non si curava di domandarne la provenienza. È ben vero che come accettava, per esempio, dieci capi, in breve tempo ne regalava otto. Così non è rimasta traccia delle tavolette di murrina e di alabastro gemmato che il barone Visconti commissario delle antichità trovò adoperate per concio in un muraccio della Salara medioevale negli scavi di Marmorata. È desiderabile che qualche saggio si sia salvato nella raccolta delle gemme del cardinale Antonelli, come sarebbe ancora desiderabile sapere dove questa raccolta sta nascosta.

«Amava del pari la nettezza e l’eleganza nel servizio della sua tavola ed i vescovi facevano a gara nell’inviargli i più fini tessuti, le più splendide stoviglie delle loro diocesi. Possedeva perfino un servizio simile a quello del sultano di Costantinopoli. I manichi dei coltelli erano d’avorio aggeminati d’oro. Il desinare era così composto quasi sempre: minestra di riso, fritto dorato, bue alla moda, arrosto con insalata, frutta e dolci. Il suo bollito si componeva di quattro libbre di scannello, di una gallina o di due pollastri, secondo la stagione. Il macellaio che gli forniva la carne fu un tale chiamato Pasticcio di Borgo. Apparteneva alla «Giovane Italia», ed in una delle tante cospirazioni tessute sotto Gregorio, gli venne riserbata la carica di governatore di Roma. Come accadeva sempre, la congiura si scoprì ed il povero governatore di Roma venne chiuso in castel Sant’Angelo donde lo liberò l’amnistia, se non erro.

«Ogni giorno la terrina del papa conteneva una libbra di riso. Pio IX ne riempiva una grande scodella: mangiava assai fritto bianco ed appena toccava gli altri cibi, salvo se l’arrosto era di capretto o di qualche altra carne tenera. Col procedere degli anni, i medici corressero questa propensione di Pio IX pel fritto. Primieramente, in luogo di schinali, fecero sostituire gli alicioni, come dicesi in pescheria; negli ultimi anni coglievano, alcuni minuti innanzi alla tavola, i germogli delle biete e li friggevano indorati coll’uovo. Salvo la minestra ed il fritto, Pio IX si poteva dire un uomo parco. Beveva quasi sempre vino della vigna dei Domenicani fuori di Porta Pia che largamente inacquava: alla fine del pranzo un bicchiere di mezzo Bordeaux e non altro. Anche la cena era frugale: ma tanto dopo la cena che dopo il pranzo incominciò, verso l’anno 1855, a prendere l’abitudine di fumare. Il Ferraioli faceva fare per esso sigari di foglia leggera e profumata».

Che la morte del Papa avvenisse quando il cuore del popolo era ancora angosciato dalla perdita del suo Re, fu un bene per Roma e per l’Italia. Gli animi colpiti dalla sventura sono propensi ai miti sentimenti e al perdono, e questo stato appunto degli animi della popolazione romana, permise che il più alto rispetto circondasse la bara del Pontefice, senza che neppure un atto meno che rispettoso, un grido inconsulto turbasse l’alta solennità delle esequie. Il contegno della popolazione aiutava mirabilmente l’opera del Governo, e specialmente quella di Francesco Crispi, che ne era il perno in quel momento.

Secondo quello che dice Raffaele de Cesare nel suo bellissimo libro Il Conclave, nel quale è posta specialmente in evidenza la parte che ebbe il Crispi negli affari di quei giorni, il Governo italiano non attese la morte di Pio IX per fare una circolare agli agenti accreditati presso i Governi stranieri, incaricandoli di assicurare che l’Italia avrebbe provveduto alla libertà materiale e morale del Governo provvisorio della Chiesa e del Conclave. E più tardi altra circolare confermava che il Governo si faceva garante dell’ordine completo. Cosi le potenze non avevano ragione d’invitare il Governo italiano al rispetto delle leggi sulle Guarentigie, e potevano, dopo queste ripetute dichiarazioni, affidarsi a lui completamente, tanto più che avevano una recente prova della sua forza nel modo ammirevole con cui erasi compiuto il passaggio del Regno, come avvenimento naturale.