Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 202 — |
«Dei dugento sessantaquattro papi che lo hanno preceduto nei musaici della basilica ostiense, Pio IX fu l’unico nel voler conservare sulla sedia di San Pietro le abitudini del gentiluomo. Gentiluomo di provincia, se volete, ma tenace nel conservare il lusso e le agiatezze delle nostre case patrizie che aveva avuto agio di vedere ed intelligenza per apprezzare nella sua prima carriera ecclesiastica.
«In primo luogo volle le dimore pontificie tanto urbane che suburbane fossero ripulite e divise in maniera più igienica ed adatta alla necessità di una vita decente. Salvo le anticamere e la sala di udienza, che rispetto forse alla dignità di vicario di Cristo, lasciò vaste, nude e maestose, il suo appartamento privato era formato di ambienti mezzani ben dipinti, riccamente arredati e con oggetti di arte. Al Vaticano era aggiunta la sua biblioteca con libri ben legati; al Quirinale la sala del biliardo ed a Castelgandolfo pregevoli serie di piatti raffaelleschi. Una parte ne lasciò vendere Leone XIII che poscia, mi sembra, riscattasse dalle mani del duca della Verdura.
«I suoi antecessori della Genga, Castiglione e Cappellari vissero con vergognosa incuria. Leone XII, nell’ultimo anno della sua vita, volle che gli cambiassero il letto di legno nel letto di ferro che allora allora erano venuti in uso. Glielo fece il meccanico Pietro Rambelli; e, nel ritirare il letto del papa, lo trovò così pieno d’insetti da doverlo distruggere col fuoco. Il cardinale camerlengo Sisto Riario Sforza quando, accompagnato dai chierici della Camera apostolica e dai due segretarii cancellieri, si recò presso il letto di Gregorio XVI per estendere il rogito di decesso, ne ritrovo il cadavere in un sudiciume indescrivibile.
«Pio IX al contrario dispose che così al Quirinale che al Vaticano la sua stanza da letto fosse seguita da una stanza da toletta e da un’altra da bagno. A Castelgandolfo lasciò che la cappella succedesse immediatamente la stanza da letto perché colà si tratteneva pochi giorni; ad Anzio prendeva i bagni di mare in vasca mobile. Il suo letto, circondato da tende ricamate, che sostenevano quattro aste di ferro terminanti col suo stemma di metallo dorato, aveva due materassi, uno di piume e l’altro di crino. Le coperte e le lenzuola erano finissime. Voleva fornita di cosmetici, di rasoi e saponi inglesi e persino di graziosi vasi di porcellana d’Inghilterra. Le cattive lingue dicevano: il papa si trucca come una ballerina; ed in fondo non avevano torti. Secondo la figura che nel momento doveva rappresentare, ravvivava il vermiglio delle labbra o si toccava le guancie col belletto. Notate questo anche sulle monete. Dal primo giorno del papato sino alla tardissima età i capelli sulla fronte hanno continuamente presentata la stessa piega. Fu intollerante alla dentiera artificiale.
«La sua inclinazione alle belle cose gli fece talvolta commettere indiscretezze per non dir peggio. Il Benedetti spoletino si era invecchiato con esso seguendolo nell’officio di cameriere ad Imola ed a Roma. Nel mentre spazzolava certi deschi sui quali il papa teneva i gingilli che amava, gettò per terra una scatola di venturina, che si ruppe. Pio IX accorse ed il Benedetti, inginocchiato a raccoglierne i frammenti, gli diceva: È stata una disgrazia, padre santo. Ma costui, digrignando i denti, gli suono sulla cervice un potente pugno che lo fece stramazzare per terra. Il vecchio Benedetti si ritirò dal servizio; gli successe il figlio che ben presto morì logorato in ogni eccesso di bagordi in compagnia di un cappellaio che aveva bottega presso piazza Colonna. Era allora ispettore degli scavi un certo Giovan Battista Guidi, scavatore anch’esso per conto di terzi, e spietato distruttore di monumenti antichi. L’archeologo Canina lo denunziava come tale e come impiegato infedele: ma godeva la protezione di Pio IX, al quale regalava le più belle terre cotte delle quali spogliava i sepolcri etruschi, qualche collana o monile d’oro e specialmente gli scarabei così preziosi degl’ipogei