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Una persona tuttora vivente e che fu prima del 1870 impiegato nella biblioteca Vaticana, mi narrava in questi giorni che il cardinale Antonelli era turbato ogni volta che doveva andare dal Papa, e un giorno incontrandolo sulle scale gli disse: «Se sapeste come sono amare queste udienze!»
Un’altra volta quella stessa persona, di cui per suo volere non stampo il nome, fu chiamata da Pio IX per un parere circa una bella. E siccome l’interpretazione che il dotto impiegato le dava non era conforme ai desiderii del Papa, questi cambiò a un tratto aspetto e il suo volto, di consueto bonario, prese una espressione così felina e irritata, che il poveretto ne tremò tutto, sentendo specialmente il Pontefice ghignare.
Potrei citare molte e molte testimonianze di persone viventi rispetto alla falsa riputazione di bontà di Pio IX, ma mi limito a queste due:
Una volta andò a visitare le Carceri Nuove ove si custodivano soltanto i condannati per delitti comuni e capitò nella cella del ragioniere Ruiz, il quale scontava una pena per falso. Questi, vedendo il Papa, gli si gettò ai piedi implorando: «Santità, sono Ruiz, grazia, grazia!» Pio IX cambiò di faccia e mentre prima sorrideva bonariamente, saltò in furia e con la mano alzata in atto di minaccia ripeteva: «Ah! sei tu quel birbante? E osi chiedermi grazia? Sconta il tuo fallo, scontalo!» e uscì dalla cella con impeto. Il poveretto si accorò tanto di quella scenata, che ne mori di dolore.
Un’altra volta andò a vedere un paliotto d’altare in marmi diversi, che uno scultore lavorava per la chiesa del convento delle Sacramentate al Quirinale. Questo scultore aveva sposato la vedova di un noto liberale, che era zia dei due Lucatelli, condannati alla galera, e uno dei quali fu poi giustiziato per aver partecipato alla cospirazione romana del 15 agosto 1853. Il Papa lodò moltissimo l’opera dello scultore e gli fece molte domande sui luoghi da dove aveva tratti i marmi. L’artista, incoraggiato da tanta benevolenza, prima che uscisse gli s’inginocchiò chiedendo grazia per i due giovani condannati, ma il Papa s’era già alterato e inveì contro di lui e contro i due Lucatelli dicendo: «Ma che grazia! Mi hanno messo sottosopra Roma!»
Poco dopo anche lo scultore era rinchiuso in carcere.
I primordii della carriera ecclesiastica di Pio IX lo mostrano tal quale doveva essere sulla cattedra di San Pietro. Lo vediamo buono, amorevole, pronto al sacrifizio fino a dividere le celle e il vitto dei poveretti quando dirigeva il ricovero di Tata Giovanni, fanatico nei fervorini delle Missioni a Sinigaglia, allorchè scritturato da monsignor Odescalchi recitava la parte del neofito strappando lagrime ed applausi all’uditorio, e rigido e autoritario nella amministrazione dell’ospizio di San Michele, affidatagli da Leone XII. Come vescovo di Spoleto spiegò una grande carità facendosi piccolo con i piccoli, soccorrendo intere famiglie nei tugurii che visitava, consolando gl’infermi, mettendo pace fra i discordanti e ammonendo gli scorretti. Ma anche qui, venuta la rivoluzione, permise fosse istituita la guardia civica, poi fuggì a Leonessa, che faceva parte della sua diocesi, ed era situata nel territorio napolitano, e ritornò col ritorno degli Austriaci, accettando di far parte della commissione istituita dal generale Bernetti per giudicare i colpevoli. Fece insomma in piccolo come vescovo di Spoleto quello che ripetè diciassette anni dopo a Roma come Papa. Ma non è mia intenzione di tracciar qui la biografia del Pontefice e di esaminare l’opera sua. Molti lo hanno già fatto con intendimenti diversi e sempre con spirito partigiano, ora portandolo alle stelle, ora denigrandolo. Occorre che il tempo raffreddi gli entusiasmi e i rancori, perché la figura di Pio IX possa emergere dalla storia tale quale fu.
Accolgo qui soltanto alcune notizie sulle consuetudini del Papa, fornitemi da persona che gli visse accanto e che lo conosceva bene. Al documento non aggiungo nė tolgo neppure una virgola.