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Il conte era venuto, recando seco come segretario il marchese Alessandro Guiccioli di Ravenna, figlio di una Capranica e nipote di monsignor Pio Capranica del Grillo, che era allora segretarlo generale del pro-ministro di Polizia, e per conseguenza mezzo romano.

Quando il conte si recò in Vaticano per l’udienza papale, monsignor Negroni, ministro per l’interno, con atto di vera deferenza gli cedè il passo. Il conte Pianciani, guardia nobile gli fece osservare di deporre in anticamera guanti e cappello, come vuole l’etichetta, cosa che il conte di San Martino, molto trepidante, aveva dimenticato.

Si dice che il Papa lo accogliesse con il solito suo sorriso bonario, che molte persone credono fosse in lui una specie di maschera, perchè gli spariva dal volto appena s’infuriava, e ciò avvenivagli spesso, e allora il volto prendeva una espressione felina.

Il conte presentò la lettera al Papa, questi la lesse e rispose lungamente e ironicameme. L’ambasciatore non apri bocca, e più il Papa parlava e più egli faceva inchini profondi. Pio IX inveiva contro le parole contenute nella lettera del Re, la ribatteva punto per punto, e il conte di San Martino seguitava a fare inchini. Egli riparti, come si dice, con le pive nel sacco, come lo dimostra la lettera che qui sotto riportiamo:


«Maestà,

«Il conte Ponza di San Martino mi ha consegnato una lettera che a V. M. piacque di dirigermi; ma essa non è degna di un figlio affettuoso, che vanta di professare la fede cattolica e si gloria di regia lealtà. Io non entrerò nei particolari della lettera per non rinnovellare il dolore che una prima scorsa mi ha cagionato. Io benedico Iddio, il quale ha sofferto che V. M. empia di amarezza l’ultimo periodo della mia vita. Quanto al resto, io non posso ammettere le domande espresse nella sua lettera, né aderire ai principi che essa contiene. Faccio di nuovo ricorso a Dio e pongo nelle ’mani di lui la mia causa, che è interamente la sua. Lo prego di concedere abbondanti grazie a V. M. per liberarla da ogni pericolo, e renderla partecipe delle misericordie onde Ella ha bisogno.

«Dal Vaticano, 11 Settembre 1870.

«pius pp. ix»


A Roma l’arrivo del conte Ponza di San Martino aveva destato grandi speranze e mentre prima la gente, vedendo le titubanze del Governo italiano, domandava: «Entrano o non entrano?» dopo l’arrivo del conte diceva: «Entrano certo»; e si faceva circolare fra i cittadini un indirizzo per chiedere al Re che l’ingresso dei soldati italiani avvenisse presto. Questo indirizzo si copriva di migliaia di firme, e in provincia avveniva lo stesso: quello di Viterbo portava 5500 nomi ed era presentato dal conte Manni al Lanza.

Dal Vaticano, non potendosi negare che la venuta del conte di San Martino avea rianimato le speranze, si era fatta spargere la voce che il conte, oltre la missione palese presso il Papa, ne avesse un’altra nascosta presso il partito nazionale, che consistesse nello spargere danaro fra il popolo per guadagnare adepti alla causa italiana, e si aggiungeva che avesse ritirato 100.000 lire da una banca romana. I signori Spada e Flamini, che si voleva fossero quelli che avessero pagata quella somma al conte, poco dopo avvenuta l’occupazione, lo smentivano dichiarando che il conte di San Martino aveva una lettera di credito di 50.000 lire per la loro banca, ma che non ne aveva fatto nessun uso.