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Uno dei primi atti di Umberto I fu quello di accordare una amnistia per i reati politici e di stampa, per tutti gli altri soggetti a pena di mesi sei e una riduzione di sei, mesi per ogni altra pena. L’amnistia commutava ogni pena di morte in pena dei lavori forzati a vita. Con un altro decreto amnistiava pure i renitenti alla leva, purché si presentassero dentro quattro mesi al distretto.

Il Re aveva pensato anche ai poveri in quei giorni di lutto e aveva rimesso 50,000 lire al Sindaco, e 50,000 al Cardinal Vicario. Il Cardinale accettò l’obolo reale e rispose ringraziando e assicurando che le elemosine sarebbero state specialmente distribuite nella parrocchia ov’era morto il Re Vittorio Emanuele. Alcuni parroci pare che rifiutassero di distribuire le elemosine; uno nel distribuirle diceva: «Ecco il denaro che vi manda il vostro Re». Ammoniti dal Cardinal Vicario, che aveva ordini superiori, finirono però per ripartire il denaro fra i loro poveri senza far più osservazioni.

Il lutto grave che la corte aveva preso per sei mesi, e i nove giorni trascorsi dal giorno della morte del Re ai funerali, durante i quali i teatri erano stati chiusi, avevano molto danneggiato i direttori delle compagnie. Il ministro dell’interno fece loro rimettere cinque mila lire, e cinque mila ne mandò il Sindaco all’impresario dell’«Apollo». Del resto a Roma in quei giorni tutti avevano guadagnato e il denaro non scarseggiava davvero, perchè lo ripeto, il numero delle persone venute alla capitale in quel tempo è incalcolabile, e l’ordine sotto ogni aspetto fu ammirevole. Il ministro dell’interno ebbe ragione d’encomiare il questore Bolis, ma molti elogi egli avrebbe dovuto farli a se stesso. Il Crispi aveva voluto provare all’Europa che le istituzioni erano così salde in Italia, da non potere essere scosse neppur dalla morte del fondatore della unità, e vi era splendidamente riuscito.

L’improvvisa perdita fatta dall’Italia, aveva destata la musa di tre poeti: Anselmo Guerrieri Gonzaga, il traduttore di Goethe, scrisse un bel sonetto; un canto dettò Valentino Giachi, che incominciava:

«Parliam di Lui, fratelli. Ahimě! disparve
L’eroe. L’Anteo delle Nazioni è spento.
Spento, ma dolce eternamente in core
Nel nostro cor vivrà la sua memoria.
Oh infinito dolore!
Oh strazio immenso, atroce,
D’una gramaglia bruna
Mirar velata la sabauda croce!

Il carme di Domenico Gnoli era intitolato: È morto il Re. Ne rammento pochi versi solamente e non i primi. Eccoli:

«È morto il Re! Come funerea coltrice
     Si stende il duolo.
E Italia, che per lui fu tutta un giubilo,
     È un pianto solo.
Insegnò gioie nuove, e insegna ai popoli
     Un nuovo affanno.
Piangiam, piangiam sul capo ai nostri pargoli
     Che nol vedranno!