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«A voi tocca di mantenere il paese a si grande altezza.

«Noi non siamo nuovi alle difficoltà della vita pubblica. Pieni di utili insegnamenti sono gli ultimi trent’anni della storia nazionale, nei quali per alterne prove d’immeritate sventure e di preparate fortune si compendia la storia di molti secoli.

Questo è il pensiero che mi affida nell’assumere gli alti doveri che mi si impongono.

«L’Italia, che ha saputo comprendere Vittorio Emanuele, mi prova oggi quello che il mio grande Genitore non ha mai cessato d’insegnarmi, che la religiosa osservanza delle libere istituzioni è la più sicura salvaguardia contro tutti i pericoli. (Vivi applausi).

«Il Parlamento, fedele alla volontà nazionale, vorrà guidarmi nei primi passi del mio Regno con quella lealtà d’intenti che il glorioso Re, di cui tutti celebrano la memoria, seppe inspirare anche nella viva emulazione dei partiti e nell’inevitabile conflitto delle opinioni. (Applausi).

«Sincerità di pensieri, concordia di amor patrio, ci accompagneranno, ne son certo, nell’ardua via che prendiamo a percorrere, in fine della quale io non ambisco che meritare questa lode: Egli fu degno del Padre». (Applausi vivissimi e prolungati. Grida di Viva il Re).


Una ovazione continua accompagnò il Re da Montecitorio al Quirinale; qui i gridi emessi da migliaia di petti divennero così insistenti, che le LL. MM. dovettero farsi al balcone. Il Re aveva spinto innanzi la Regina Pia e parve volesse presentarla al popolo. Questo atto fece raddoppiare i gridi; il popolo chiedeva di vedere il Principe di Napoli. Allora il bellissimo Principe ereditario di Germania, che si associava sempre con tanta spontaneità d’affetto alle gioie e ai dolori della casa di Savoia e dell’Italia, prese fra le braccia il piccolo Vittorio Emanuele e lo presentò al popolo baciandolo.

I gridi, a quell’atto del Principe tedesco, si cambiarono in urli frenetici, e agli evviva al Re e all’Italia si univano gli evviva alla Germania.

Chi ha visto quella scena la rammenta ancora commosso, e rivede il forte guerriero stringere fra le braccia l’erede della dinastia italiana, quasi a significare che la salda amicizia dell’impero tedesco non sarebbe mai mancata al giovine Regno.

L’Italia e il suo Sovrano non potevano desiderare in un momento di lutto e di trepidazione maggiori dimostrazioni di simpatia, nè più numerose. Non voglio qui enumerare le commemorazioni del gran Re che si fecero nei Parlamenti stranieri, nel seno delle associazioni, nè tener conto di tutti gl’indirizzi di condoglianza e di simpatia che giunsero al Quirinale. Riprodurro soltanto quella del Consiglio Comunale di Brusselles, la città che aveva fama di nutrire odio per gl’Italiani dopo che erano venuti a Roma, e dove gli ultramontani si riunivano a preferenza per ordire trame innocue, è vero, contro il possesso di Roma per parte nostra. Dati questi fatti, l’indirizzo votato all’unanimità dal Consiglio Comunale della capitale del Belgio aveva un alto significato:


«Sire,

«Da secoli la gloria e il dolore hanno fatto del Belgio e dell’Italia due nazioni sorelle: sorelle per le tradizioni di un grande passato, sorelle per la fama artistica, sorelle infine per un lungo martirio della dominazione straniera.

«L’Italia e il Belgio sono nazioni sorelle anche oggi, poichè la loro indipendenza ha la medesima origine: la volontà nazionale; la medesima guarentigia: la Monarchia costituzionale e liberale. L’una consolida ciò che l’altra ha fondato.

«Tra sorelle un lutto di famiglia è una sventura che si divide.

«A questo titolo noi crediamo d’avere il diritto d’unire il nostro rammarico ai dolori di V. M. e del suo popolo; a tutti e due la morte ha rapito un padre.