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della Corte e dell’esercito, e il luogotenente Patrizio di Mac-Mahon, figlio del Presidente della Repubblica. La missione francese abitava all’albergo Costanzi.
In quello stesso giorno arrivava il principe Federigo Guglielmo, erede della Corona di Germania, l’amico del nostro giovane Re, l’idolo del popolo italiano. Quegli che fu poi Federigo III veniva in un momento di grande dolore a ribadire quei vincoli di amicizia non mai smentita da tanti anni fra le due dinastie e le due nazioni. S. A. I. fu ricevuta alla stazione dal Principe di Carignano, dalla casa militare del Re e da una deputazione della Camera. I due Principi si baciarono affettuosamente e il vecchio principe Eugenio piangeva. Federigo Guglielmo aveva le spalline, la sciarpa, la dragona e la cintura della spada velate di nero e il volto bellissimo rivelava una grande tristezza. Una vera ovazione popolare accolse l’erede del trono di Germania all’uscire dalla stazione. Il Principe andò ad abitare all’ambasciata di Germania, ma ne riusci subito per visitare la salma di Vittorio Emanuele e salutare il Re. Il loro incontro fu veramente affettuoso; parevano due fratelli che piangessero insieme, colpiti ambedue da una comune sventura.
La sera del 16 tutta la guarnigione di Roma era sotto le armi, schierata lungo le strade che dalla stazione mettono al Quirinale, tutto il popolo era nelle vie per salutare la Regina Maria Pia, l’infelice principessa di Savoia, che aveva mosso dal lontano Portogallo, insieme col suo primogenito, per trovarsi al fianco della sua famiglia nei giorni del dolore. Il Re era andato ad attenderla alla stazione, insieme con l’arciduca Ranieri, col principe Federigo Guglielmo, col maresciallo Canrobert e con i Principi della sua casa. La Regina Maria Pia era così affranta, così mesta, che non poteva parlare. Scambiò abbracci affettuosi coi fratelli; salutò col capo ad uno ad uno i personaggi che le venivano presentati e sali in carrozza insieme col Re. La folla l’accompagnò per tutta la via gridando: «Evviva la figlia del Re Galantuomo!» e le grida raddoppiarono all’ingresso della palazzina del Quirinale, ove a piedi della scala incontrò la Regina Margherita, nelle cui braccia si getto piangendo. La pietosa figlia del Re volle subito visitare la cappella mortuaria e passo gran parte di quella prima sera del suo arrivo a pregare, inginocchiata dinanzi alla salma di Vittorio Emanuele.
La Regina d’Inghilterra aveva inviato il conte Roden, il granduca di Baden il proprio fratello, il governo Rumeno il signor Balacteano, già ambasciatore a Vienna; tutti gli altri sovrani avevano affidato la missione di rappresentarli al trasporto funebre ai loro ambasciatori e ministri.
Che cosa fosse Roma la sera e la notte prima del 17 non si può dire. Le vie anche più remote erano piene di gente in cerca di alloggi, di comitive d’Italiani di altre provincie che passeggiavano, non tentando neppure di cercarsi un ricovero, tanto l’impresa era inutile. Alle sei della mattina la folla era così compatta da rendere malagevole la circolazione, e le vie per cui doveva passare il corteo erano già invase. Alle otto la guarnigione di Roma e 30,000 soldati, venuti di fuori, erano sotto le armi; così quella parte che doveva precedere e seguire il carro, come l’altra che doveva fare ala sul suo passaggio.
Il carro, quello stesso che aveva servito ai funerali di Carlo Felice, alto, sontuosamente ornato e tirato da otto cavalli piumati e coperti di gramaglie, condotti a mano dagli staffieri, si fermò alle 10 dinanzi allo scalone della Reggia. Nel cortile del Quirinale vi erano già 450 deputati, circa 200 senatori, i membri della Corte dei Conti, della Corte di Cassazione e d’Appello, del Tribunale supremo di guerra, dei Consigli superiori, del Corpo diplomatico, dei Municipi di Roma e di Torino.
La cassa fu portata dagli ufficiali dei corazzieri e dai graduati, e issata sul carro. Quindi i maestri di cerimonie dettero il segnale che il corteo si movesse.