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dirizzo di condoglianza al re Umberto e alla regina Margherita, e propose pure che il Consiglio concorresse largamente alla sottoscrizione iniziata dal Consiglio Comunale per erigere a Roma un monumento a Vittorio Emanuele.
Il deputato provinciale Baccelli disse che nulla aveva da aggiungere alle parole eloquenti del Presidente e del Prefetto. «La grandezza della nostra sventura è solo pari a quella del nostro cordoglio. Quel grido di dolore che, uscito dalle cento città distaccate, spinse il gran Re alla loro liberazione, quel grido di dolore ha echeggiato un’altra volta, ma più straziante ancora, perché era quello della patria redenta, orba del suo padre. È bene che quel grido si perenni in un monumento di bronzo o di granito, durevole quanto la nostra eterna gratitudine e fedeltà alle istituzioni di cui fu egli il fondatore. I nostri figli vedendo collocata così in alto la figura del Re cittadino, diranno di lui quello che diceva Plinio a Traiano: «Vi furono despoti che si sollevarono sopra noi perdendo l’uso dei piedi, portati sul capo o collo di schiavi; tu ti sollevasti comminando con noi, perchè fosti il primo istauratore della patria».
«Riassumendo, o signori, le idee e i desiderii della deputazione, io vi prego di accettare per acclamazione il seguente ordine del giorno:
«Il Consiglio Provinciale di Roma nella comune sventura, si associa alle altre città e provincie del Regno e delibera che ad eternare la sua riconoscenza al gran Re che uni la Nazione e fondò la libertà, sia eretto un monumento nella Capitale del Regno ed a tale effetto stanzia nel suo bilancio una quota di concorso di lire 100,000.
«Ordina che il banco della Presidenza sia velato lutto durante la prossima sessione straordinaria.
«Nomina nel suo seno una commissione perchè insieme alla Presidenza e alla Deputazione Provinciale presenti alle LL. MM. un indirizzo che esprima i sentimenti di vivissima condoglianza e di eterna fedeltà della Provincia di Roma».
Come il deputato Baccelli aveva desiderato, tutte le sue proposte furono approvate per acclamazione fra gli applausi generali.
Il Presidente nominò la commissione composta dei signori de Rossi, Renazzi, Grispigni e Novelli e in fine di seduta Augusto Ruspoli propose che il Gran Re avesse sepoltura onorata in Roma, dove aveva detto «stiamo e resteremo».
Anche questa proposta fu approvata per acclamazione e giova notare che fra i consiglieri vi erano Borghese, Bandini, Aldobrandini, di Campello, de Rossi, Marucchi, Fontana, cioè tutti gli eletti con i voti dell’Unione Romana, i quali pur non assistendo alla seduta, avevano nel Consiglio Provinciale una certa influenza.
Il Consiglio Comunale, adunatosi subito dopo la grande sventura, aveva fatto ancor più e più presto. La sera del 10 si riuniva convocato d’urgenza e il ff. di sindaco Emanuele Ruspoli, propose che il Consiglio esprimesse il voto che Vittorio Emanuele avesse a Roma degna sepoltura e stanziasse 100,000 lire per concorrere al monumento. Terenzio Mamiani tessè con tanto affetto l’elogio del defunto Re, che fece piangere i consiglieri e il pubblico. Le due proposte furono votate all’unanimità in mezzo agli applausi e i consiglieri Mamiani, Vitelleschi e Sesmit-Doda vennero scelti per portare al re Umberto il voto del Consiglio.
Questo voto, non isolato, ma rispecchiante il desiderio di tutta l’Italia, rendeva perplesso il nuovo Sovrano. Duoleva a lui d’interrompere le consuetudini della sua casa, di non far riposare tutti i suoi cari nel Mausoleo di Superga, ma riconosceva che a Vittorio Emanuele spettava per