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Il 16 soltanto la salma fu racchiusa nella doppia cassa mortuaria con molta pompa, in presenza di tutti i funzionari della corte, dei ministri e del Presidente del Senato. S. E. Depretis, in qualità di notaio della Corona, oltre l’atto di decesso pose nella cassa una relazione minuta degli atti avvenuti in quei giorni, e una descrizione dello stato del cadavere. La prima cassa, che era di zinco foderata di raso, fu suggellata con i suggelli della Corona; la seconda di noce, scavata in un tronco d’albero, riccamente ornata di borchie d’argento.

L’atto fu firmato prima dai due cavalieri dell’Annunziata Lanza e Minghetti, dal general Medici, dal conte Visone, dal conte Panissera di Veglio e da tutti i presenti e quindi il notaio della Corona applicò sulla cassa di noce una targa d’argento col nome del Re e la data della morte.

Il nuovo Re ricevè il giorno 12 il giuramento delle truppe. Queste erano schierate sul piazzale del Macao per modo da formare tre lati di un quadrato col fronte rivolto all’ingresso. Gli ufficiali portavano il lutto; le bandiere e le trombe erano velate di crespo nero.

Il Re uscendo alle 2 dalla palazzina del Quirinale era mesto e quasi affranto. A destra gli cavalcava il duca d’Aosta, sparuto e con lo sguardo vago; a sinistra il ministro della guerra, general Mezzacapo. Lo seguiva un numeroso Stato Maggiore, di cui facevano parte la casa militare del defunto Re, il grande scudiere conte di Castellengo, il generale Bertolé-Viale, gran cacciatore, e molti aiutanti di campo.

La folla salutava in silenzio il giovane Sovrano. Ma appena entrò sul piazzale del Macao scoppiò un applauso fragoroso e il popolo stringendosi attorno al cavallo lo salutava col grido di: «Viva Umberto I re d’Italia!»

Umberto I era commosso, le musiche suonavano la marcia reale, i soldati rendevano gli onori militari e la folla continuava ad applaudire.

Il Re percorse al passo il fronte delle truppe, quindi si collocò nel centro del quadrato, accolto da una nuova ovazione popolare.

In quel punto le bandiere dei quattro reggimenti di cavalleria, portate dagli aiutanti maggiori, furono collocate alla sinistra del Re. Il general Bruzzo lesse ad alta voce la formula del giuramento e i soldati alzando il braccio destro, gridarono: Giuro, confondendo la loro voce con quella di un migliaio di ufficiali che avevano formato un semicerchio intorno a Sua Maestà. Tutte le musiche allora intonarono la marcia reale e la folla rispose: «Viva il Re!»

In piazza dell’Indipendenza dove i soldati sfilarono, il Re ebbe nuove ovazioni e il popolo, rompendo le file volle avvicinarglisi; dal Macao al Quirinale il Re fu accompagnato sempre da evviva frenetici, ai quali rispondeva col suo bel saluto militare. Anzi quando giunse al quadrivio delle Quattro Fontane, il popolo trascinato dall’entusiasmo, ruppe i cordoni formati da un battaglione di bersaglieri, e facendo una barriera dinanzi al cavallo del Re, lo acclamò quanto volle. Umberto I, benché affranto dal dolore, trovò in quella calorosa dimostrazione un grande conforto, e lo diceva dopo tornato al Quirinale a tutti quelli che erano ammessi alla sua presenza.

Nello stesso giorno il Consiglio Provinciale di Roma si adunava d’urgenza nella grande aula ove già nella nicchia del fondo era stato collocato il busto del Re.

Il prefetto, Caracciolo di Bella, quando vide tutti i consiglieri ai loro posti, dichiarò aperta la seduta e tessé l’elogio funebre di Vittorio Emanuele. Il Prefetto disse in ultimo: «Raccogliamoci nel nostro dolore e dalla memoria del gran Re togliamo la guida per la nostra condotta avvenire».

Il presidente Cencelli pronunziò un breve ed affettuoso discorso nel quale fece l’elogio del defunto Re. Egli propose quindi che il Consiglio nominasse una commissione per redigere un in-