Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/192


— 180 —

pello. Il Principe mostrava fiducia che il padre guarisse, ma il prefetto intanto consegnava all’aiutante di campo il telegramma col quale il general Medici comunicavagli la notizia della morte. Il principe vedendo il turbamento del comm. Dragonetti volle sapere la verità, e con quale cuore egli continuasse il viaggio è facile immaginare.

Il duca d’Aosta giunse a Roma la mattina del 10 alle 6; due ore dopo giunse il principe Eugenio, al quale la notizia era stata comunicata a Torino. Il Principe nel leggere il telegramma era caduto privo di sensi, e riavutosi dopo poco non aveva saputo trattenere un violento accesso di pianto.

L’incontro di questi due Principi di Savoia col Re Umberto dette luogo ad una nuova scena dolorosa. Il Re li condusse ambedue nella camera ove giaceva Vittorio Emanuele; dopo esservisi trattenuti a lungo, ne uscirono piangendo dirottamente.

I ministri, subito dopo la morte del Re, rassegnarono le dimissioni nelle mani del nuovo Sovrano; Sua Maestà confermò in ufficio il ministero presieduto da S. E. Depretis, che il giorno seguente presentò a Umberto I il seguente indirizzo:

«Sire,

«In mezzo alla costernazione profonda di tutti gl’Italiani, noi non sappiamo, nell’acerbità del cordoglio che ci opprime, trovare una parola che risponda allo strazio del Vostro cuore.

«Le supreme esigenze del Governo pur troppo Vi tolgono di racchiudervi nell’isolamento, e di sfogare la piena delle vostre angoscie di figlio; e già provvedeste alla continuità dei pubblici uffici, confermando in noi, che ne siamo altamente onorati, il mandato che avevamo ricevuto dalla venerata volontà dell’Immortale Vostro Genitore.

«Sentiamo quanto obbligo questi solenni momenti c’impongono davanti a Voi, davanti alla Nazione.

«Fin che ci duri la fiducia Vostra e del Parlamento, tutti ci consacreremo al Paese, nella prosperità del quale sappiamo che Voi ponete quella della Vostra Casa.

«Ad essa intieramente devoti, Vi porgiamo, Sire, l’omaggio della fedeltà nostra, e Vi offriamo i voti più fervidi e sinceri per la felicità della Vostra Persona, dell’augusta Regina, già di tanto riverente affetto circondata dagli Italiani, e del giovinetto Principe, sul cui capo splenderà, mercè Vostra, sempre più vivo l’astro dei Vostri Maggiori.

Roma, addì 10 gennaio 1878.
«Depretis – Crispi – Mancini – Mezzacapo — Brin — Coppino — Magliani — Bargoni — Perez».


Prima che la salma del re Vittorio Emanuele fosse rimossa dalla camera mortuaria per esser trasportata nella sala degli Svizzeri trasformata in cappella ardente, si dovette stendere l’atto di morte di Vittorio Emanuele.

Anche questa cerimonia, che fu compiuta il giorno 10 alle 6, trascorse in mezzo alla generale mestizia. Quando S. E. il presidente del Senato, Tecchio, entrò nella camera mortuaria, i grandi dignitari di Corte erano già riuniti.

S. E. il comm. Tecchio, visibilmente commosso, cominciò dal chiedere ai tre medici presenti, i professori Bruno, Saglione e Baccelli, in qual modo fosse avvenuta la morte del Re.

I medici risposero che era morto di pleuro-polmonite con complicazione di migliare, e il dott. Bruno accennò alle differenti fasi della malattia.

S. E. il comm. Tecchio procedè allora alla redazione dell’atto di morte, che fu redatto in