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«Al suo magnanimo ardimento dobbiamo i gloriosi fatti, che illustrano la nostra bandiera; al suo senno previdente gli ordini e le armi di cui andate fieri ed onorati; alle sue salde virtù l’esempio di ossequio alle libere istituzioni, di generosità nel soccorrere in ogni evento la Patria, di vigore nel tutelarla e difenderla.
- Ufficiali, Sott'Ufficiali e Soldati,
«Già compagno dei vostri pericoli, testimonio del vostro valore, so di poter contare su voi.
Forti delle vostre virtù ricorderete che dove è la nostra bandiera, ivi è il mio cuore di Re e Soldato.
«UMBERTO»
«S. P. Q. R.
- Romani!
S. M. il Re Vittorio Emanuele ha cessato di vivere, ma l’opera sua è immortale ed il suo nome glorioso e quello d’Italia sono inseparabili. Esso ci ha lasciato un sacro deposito da mantenere: le nostre libere istituzioni, l’indipendenza e l’unità della patria, per cui mori il magnanimo suo padre e per cui egli visse per lasciarle compiute all’augusto suo figlio.
«Il dolore nostro risiede nel nostro cuore e nella profonda riconoscenza, che vivrà finchè noi vivremo, e che trasmetteremo inalterata ai nostri figli.
- Romani,
«Possa il nostro patriottismo temperare il dolore dell’Augusto Erede di Savoia, nelle cui mani, tranquilla l’Italia vede affidati i suoi destini. «Dal Campidoglio, 9 gennaio 1878.
«Il ff. di Sindaco |
La salma del Re, che meritava davvero il titolo di Grande, rimase ove Egli era spirato, cioè nella modesta camera, col grande letto di noce in sul fondo, e i pochi e semplici mobili e che il figlio ha voluto fosse conservata intatta. Attorno al letto furono accesi quattro grandi ceri e mentre il canonico Anzino recitava le preci dei morti un aiutante di campo e un cerimoniere in alta tenuta vegliavano commossi. Durante la sera, nella notte, la mattina seguente il Re Umberto più volte si recò nella camera del padre, e due volte vi andò pure la Regina. Nell’ultima visita l’accompagnava il nuovo Sovrano, e dopo che ella ebbe pregato per alcuni minuti si alzò scoppiando in un dirotto pianto. Il Re la sorregeva e la ricondusse nel suo quartiere, ov’ella cadde in un lungo svenimento, dal quale la trassero a stento le sue dame, che non l’avevano mai abbandonata durante la malattia, nè dopo la morte di Vittorio Emanuele.
Il duca d’Aosta, il principe di Carignano, e il duca di Genova non erano a Roma, nè poterono raccogliere l’ultimo respiro del glorioso capo della loro famiglia. L’ultimo di questi Principi trovavasi a Beyrut; gli altri due erano a Torino, ma i telegrammi che ricevevano di continuo non erano punto desolanti. Però il duca d’Aosta aveva un triste presentimento e trovandosi fuori dal suo palazzo la mattina del 9, non seppe resistere alla brama di correre a Roma. Salì in una carrozza di piazza accompagnato dal solo aiutante di campo, comm. Dragonetti, andò alla stazione di Porta Nuova e potè prendere il treno per la capitale. Egli giunse a Bologna alle 5 circa e trovò a riceverlo il generale Avogadro, il procuratore del Re e il primo presidente della Corte d’Ap-