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Il 1878.
Nella storia d’Italia l’anno di cui sto per narrare gli eventi compiutisi in Roma, è un anno di lutto profondo, lutto del quale il paese serberà profonda memoria.
Il Re era tornato da Torino il 29 dicembre già ammalato. S. M. soffriva di un forte reuma intestinale e di frequenti accessi di febbre leggiera, ma non si curava. Riceve al solito il primo dell’anno i rappresentanti esteri, le deputazioni della Camera e del Senato, gli ufficiali superiori, il Sindaco e la Giunta, l’on. Minghetti, cavaliere dell’Annunziata, e il principe Torlonia, che era sempre uno dei primi a presentargli gli augurii, e parlò con tutti come soleva far sempre. Anzi, alle rappresentanze del Parlamento tenne un linguaggio, se non belligero, almeno accentuatamente militare, per ispronarle ad occuparsi dei provvedimenti per l’esercito, non tacendo che potevano sorgere avvenimenti siffatti da render necessario l’impiego di tutte le forze per la difesa della patria. Nulla nell’aspetto o nel linguaggio del Re manifestava uno stato di accasciamento fisico o di debolezza; era sempre forte e il suo sguardo aveva i soliti bagliori, che infiammavano i cuori.
Il 3 gennaio il Re ricevè pure il signor Gambetta, che era a Roma da pochi giorni, e con la sua cordialità, con la sua franchezza destò l’entusiasmo del deputato francese, il quale partì commosso dall’accoglienza avuta. Per il 5 gennaio, che cadeva di sabato, era fissata la partenza di Vittorio Emanuele per Torino. La mattina egli uscì in carrozza, e più tardi disse di voler dormire, perché si sentiva stanco. Nelle ore pomeridiane, nel destarsi, il Re fu assalito dalla febbre; una febbre più forte di quelle che lo