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il Ceccarelli). Pio IX voleva molto bene al suo medico, ma il Cardinale o altri seppero tanto accortamente convincerlo della indiscretezza di lui, che una mattina, invece di accoglierlo con la solita benignità, incominciò a rimproverarlo aspramente e lo cacciò con una esplosione d’ira, mentre una settimana prima aveva diviso fra il Pelagallo e il Ceccarelli una pezza di finissima tela d’Olanda, ricevuta in dono dai cattolici olandesi.
Tutti ignoravano la scena avvenuta, cosicchè il giorno dopo il Ceccarelli si recò al Vaticano, e non incontrando il suo collega, ne avverti monsignor Ricci, il quale avvertì il Papa, che rispose: «Lo sapevo che non doveva più venire».
Si mascherò il licenziamento con una lettera del dottor Pelagallo, con la quale dava le dimissioni per motivi di salute. Al suo posto era nominato il dottor Camillo Antonini, medico di molti cardinali.
La salute del Papa era tutt’altro che buona da un pezzo, e quelli che lo circondavano volevano far venire dal Belgio, per un consulto, il dottor Lefévre; ma Pio IX si oppose: «Diranno che sono bell’e spacciato, se viene un medico di fuori», osservò. I ricevimenti continui lo stancavano, ma egli non voleva rinunziarvi, perchè quegli atti di devozione, quelle parole ardenti che sentiva pronunziare dai pellegrini, gli facevano moltissimo piacere. A quei ricevimenti si opponeva il dottor Pelagallo, e forse ciò contribui a farlo uscire dalle buone grazie del Papa.
Pio IX, negli ultimi tempi della sua vita, malato com’era, celebrava ancora la messa. Ogni mattina si faceva condurre in sedia gestatoria nella cappella, che era situata dopo l’anticamera degli Svizzeri. Deposta la sedia dinanzi all’altare, se ne toglievano le stanghe, e il Papa, senza alzarsi, si faceva vestire. La sedia era munita di ruote, cosicchè il Papa poteva celebrare, seduto, fino al Sanctus; dopo si alzava e rimaneva ritto fino alla comunione. Sua Santità non si volgeva mai al popolo, neppure alla benedizione. Assisteva alla messa papale soltanto monsignor Ricci, e l’esente delle Guardie Nobili di servizio.
Se in Vaticano non si voleva che trapelassero al difuori notizie allarmanti sulla salute del Papa, si prevedeva peraltro vicina la sua fine, e si cercava di prevenirne le conseguenze. Un forte partito voleva che la nuova elezione si facesse presente cadavere, secondo la bolla di Pio VI. Il cardinale Giovacchino Pecci, interrogato se voleva accettare la carica di Camarlengo di Santa Chiesa, rifiutò una prima volta, appunto perchè se l’elezione si faceva secondo quella bolla, sarebbero stati esclusi dal conclave i cardinali esteri. Esclusa l’idea della elezione presente cadavere, il cardinale Pecci fu nominato Camarlengo.
Il cardinale Monaco La Valletta era meno intollerante del suo predecessore Patrizi, ma il cardinale segretario di Stato Simeoni era più aggressivo dell’Antonelli; così si videro in quel tempo atti che accennavano a maggior tolleranza, e atti che rivelavano intolleranza maggiore. Il vicario di Roma, cardinale Monaco, andò, per esempio, a cresimare gli alunni del podere modello di villa Corsini, mentre veniva negata la benedizione religiosa alla signora Virginia Silvestri e al signor Cleto Masotti, perché quest’ultimo era segretario generale della Giunta liquidatrice dell’asse ecclesiastico. Vi è di più. L’on. Depretis, dopo che si era ammogliato, abitava un quartiere mobiliato nel palazzo Negroni in via Condotti, palazzo di proprietà della contessa Carafa, che lo aveva affittato a Felice Ferri. La contessa Carafa, nel rinnovare l’affitto, volle porre sul contratto che il Ferri non dovesse subaffittare ad italiani. Così il Presidente del Consiglio si trovò fuori di casa, e in quel tempo di penuria di alloggi era difficile trovarne un’altra.
Erano da poco terminati i lavori al palazzo Valentini, quando un incendio vi scoppiò, e per