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S. M. il Re rispose all’indirizzo della Camera con le seguenti parole:

«Ringrazio i rappresentanti della Nazione dei sentimenti che li guidarono a farmi il presente patriottico indirizzo in questo giorno solenne.

«Trent’anni sono passati, e questi trent’anni furono anni di eroici sacrifici, d’inconcussa fede e di gloria imperitura per l’Italia.

«E con ciò fu assicurata l’unità della cara patria nostra, e Roma divenne Capitale degli Italiani.

«Il passato mi è arra dell’avvenire, fidente nell’appoggio dei rappreseаtanti della Nazione e nella Nazione tutta».


Ai rappresentanti del Senato disse:


«Sono veramente grato, signori Senatori, alle vostre generose e franche parole in questo giorno in cui possiamo con sereno sguardo risalire il periodo di questi trent’anni, che videro si fortunati eventi e ci condussero alla unità della patria.

«Rendo omaggio all’opera indefessa del vostro sapiente Consesso, che fu sempre colla maturità del consiglio e col fervente patriottismo il vigile custode delle istituzioni, che condussero l’Italia a’ suoi alti destini; ed io sono sicuro che esso risponderà sempre alla sua nobile missione».


Dopo che Sua Maestà ebbe finito di leggere queste sue magnanime parole, ne aggiunse altre per ringraziare le deputazioni. L’on. Crispi, presidente della Camera, preso da subita e sincera commozione, si fece innanzi al Re e con ferma voce gli disse:

«Maestà, il Popolo Italiano sarà sempre con Voi, e Voi sarete sempre col Popolo Italiano»,

«Si sempre, sempre;» rispose Vittorio Emanuele.

Al Sindaco di Roma il Re disse:

«Ringrazio la Rappresentanza di Roma degli omaggi e degli augurii che ha voluto presentarmi in questo giorno. Sono 30 anni, lo ricordo questo giorno, che cominciò quel movimento seguendo il quale, con costanza di proposito, giungemmo all’apice dei nostri desiderii, che era l’unione di Roma all’Italia. Noi speriamo che le cose continueranno sulla via che abbiamo felicemente percorsa.

«Io amo molto Roma, e nel ringraziare Voi, ringrazio tutta la cittadinanza, per la quale ho molta affezione».


Nello stesso momento in cui Vittorio Emanuele riceveva queste deputazioni che gli esprimevano l’ammirazione, la gratitudine e l’amore del suo popolo, il Papa in Vaticano ammetteva alla sua presenza pellegrini italiani e stranieri, che lo riverivano capo dei fedeli. Chi si trovava a Roma in quel giorno non poteva negare che non vi fosse posto per i due poteri e per i due sovrani, e che non si lasciassero liberamente manifestare i sentimenti patriottici e religiosi.

Il 3 giugno, fu scoperta la statua equestre del Re al Pincio, e la sera il popolo volle andare al Quirinale a fare una dimostrazione a Vittorio Emanuele, ma trovò le vie sbarrate. Il Nicotera aveva dato ordini severi perchè sotto nessun pretesto vi fossero radunanze. Agli evviva al Re si potevano mescolare gridi ostili al Vaticano, e per il Ministro era una questione di amor proprio quella di dimostrare che sotto il governo di Sinistra il Papa potesse esercitare il suo ministero, e i cattolici fossero liberi di dimostrargli la loro devozione.

La dimostrazione che andava dal Re attese lungamente, sulla salita di Monte Cavallo, il permesso del Ministro di poter salire fin sotto le finestre della Reggia. Erano migliaia e migliaia di cittadini, trattenuti con le buone dai carabinieri, dalle guardie e dai soldati, che sfogavano la noia