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premiare i papisti inglesi della loro fedeltà. Il de Falloux, reggente della Cancelleria Apostolica, era un cardinale sui generis, elegantissimo e galante.

Il cardinale di Canossa e l’Apuzzo, arcivescovo di Capua, che non avevano a Roma residenza stabile, andarono dal de Falloux al palazzo Ruspoli, ove monsignor Cataldi, maestro di cerimonie del Papa, recò loro la lieta novella della elezione. Intorno ai nuovi cardinali erano riuniti il general Kanzler, il conte Vespignani e molti invitati, fra i quali l’ambasciatore di Francia, signor Baude e il ministro del Belgio. De Falloux non era un cardinale dotto, ma aveva maniere insinuanti e sapeva rappresentar bene.

Monsignor Cataldi si recò pure alla villa Negroni e qui trovò l’Howard circondato da tutti i cattolici inglesi di Roma, e anche dal colonnello del reggimento delle guardie delle Regina, nel quale aveva servito il nuovo porporato prima di entrare negli ordini religiosi.

Circa quel tempo la Santa Sede perdè il suo più valido campione della penna, il direttore della belligera Voce della verità, monsignor Nardi.

Era di Vazzola, presso Udine, e coprì per molto tempo il posto di Uditore di Rota; pochi giorni prima della sua morte era stato nominato segretario della Congregazione dei vescovi. Egli abitava al palazzo Cavalletti a Campitelli e gli furono fatti in S. Maria di quel Rione solenni funerali. Dal suo testamento si deduce come fosse colto, amante del bello e anche caritatevole. Al cardinal Vicario lasciò 10,000 lire per i poveri e per le scuole cattoliche; alla chiesa in cui fu battezzato un calice di vermeil; un altro bellissimo, tutto d’argento, al Papa; al marchese Cavalletti una bibbia del Mame; un magnifico messale stesso alla chiesa di Campitelli, e mille lire ai poveri della parrocchia di Vazzola, e mille a quella dove morì.

Ho parlato in altro capitolo del libro dell’Audisio, canonico di S. Pietro, libro che aveva fatto tanta pena al Papa. Il canonico dovette ritrattare e rinnegare l’idea fondamentale del libro, idea che era quella che la Chiesa e lo Stato fossero due società parallele, criticata dallo Zigliara dell’Ordine dei Predicatori. Come l’Audisio era stato costretto a dare le dimissioni da professore dell’Università, così ora dovette soccombere nella guerra, che gli era mossa. La Chiesa non voleva che un prete riconoscesse che lo Stato doveva avere in altro campo potere eguale al suo, e non poteva permetterlo.

I primi pellegrini che furono ricevuti in quell’anno al principio delle feste per il Giubileo episcopale di Pio IX, non potevano essere altro che i francesi, in ricompensa dello zelo dimostrato. Essi portarono molti doni, fra cui un portafoglio con 50,000 lire in biglietti nuovi della Banca di Francia, ma i doni non eran ricchi come quelli degl’inglesi. Il solo pellegrinaggio, composto del duca di Norfolk, del conte di Gainsborough e di lord Denbigh, offri al Papa per l’obolo 400,000 lire in oro.

Il Pontefice ebbe pure 18 rotoli di monete d’oro dai belgi, 12 chili di monete pure d’oro, e una cambiale pagabile a vista, in bianco. I militari pontificii gli offrirono una spada con la impugnatura d’oro, eguale a quella donata al Re dai Romani nel 1860.

I doni, non solo di danaro, ma di oggetti d’arte, di mobili, di arredi sacri, erano così numerosi, che il Papa ordinò fossero esposti nelle gallerie delle Carte Geografiche, e nelle sale attigue.

Fece non poca meraviglia di veder fra i donativi una pelle di leone, che dette alla contessa di Salm-Salm, e una pelle d’orso, che regalò al marchese Serlupi, e due catene d’oro massiccio, che il Papa poi regalò a San Pietro in Vincoli; un gobelin, dono del maresciallo Mac-Mahon, e soprattutto un calice d’oro, inviato da Amedeo d’Aosta. Il Papa, gradì moltissimo il calice, e mandò