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zione ai confini, e ordinava al vice-ammiraglio Del Carretto di concentrare dodici navi nelle acque di Civitavecchia. La nave su cui il Del Carretto issava bandiera di comando, era la «Roma», una delle più belle navi della flotta italiana di quei tempi, e l’aiutante di bandiera dell’ammiraglio era il sottotenente di vascello Carlo Farina, ora comandante della «Sicilia».
Intanto in Vaticano si era tutt’altro che sgomenti per la partenza dei Francesi. Le vittorie prussiane riempivano di gioia l’animo di Pio IX e della sua corte. Si vedeva in esse una giusta punizione per Napoleone III, il quale aveva aiutata l’Italia a costituirsi, e si sperava che la Prussia trionfante, avrebbe restaurato l’antico ordine di cose, e l’ossequio al principio del diritto divino.
Era generale la convinzione che le truppe italiane avrebbero occupato il territorio pontificio, e forse Roma, ma che non vi sarebbero rimaste; che avrebbero dovuto sloggiare di qui, come dalle Legazioni, dalle Marche e dall’Umbria, per volere della Prussia. Difatti era tanto profonda questa convinzione che in una Congregazione di Cardinali, tenuta il 17 agosto alla presenza del Papa, fu stabilito di non opporre resistenza. I soli Cardinali che si mostrarono contrari a questa deliberazione, furono gli Eminentissimi Mertel, Caterini e Patrizi; i due ultimi morti, il Mertel tuttora vivo. Però il 20 di quello stesso mese pare prevalesse in Vaticano un’altra opinione, perchè fu fortificato l’Aventino come nel 1867; si concentrarono munizioni a Porta San Paolo, si ristabilirono le barricate a Porta del Popolo, a Porta Angelica e a Porta Cavalleggeri, con l’intendimento forse di difendere soltanto la città Leonina. I cannoni all’Aventino e le munizioni si trasportavano per mezzo di carri e di un vaporetto, che era sul Tevere. I ponti sul Tevere e sull’Aniene erano stati minati e si erano fortificate Viterbo, ov’era Charette, Monterotondo, Civita Castellana, ma insufficientemente.
Comandante dell’esercito pontificio era il general Kanzler, svizzero, che aveva per moglie una Vannutelli, sorella degli attuali cardinali. Il Kanzier aveva sotto di sè i generali De Courten, bavarese, e Zappi, romano. Il Castel Sant’Angelo era sotto il comando del colonnello Pagliucchi. A Roma era scarsa la guarnigione, perchè la partenza dei Francesi vi aveva lasciato molti vuoti. Si vuole che non vi fossero più di 10,000 soldati fra antiboini, carabinieri esteri, svizzeri, guardie palatine e guardie urbane, alias caccialepri, così chiamati perchè ad essi principalmente tra affidata l’incombenza di dar la caccia ai liberali. Ne era comandante il marchese Serlupi; generale il principe Lancellotti.
Appena partita la guarnigione francese, che era odiatissima, incominciarono gli arrolamenti pubblici degli zampitti. Questi zampitti erano abruzzesi e ciociari, quelli stessi che avevano dato, dopo il 1860, tanto alimento al brigantaggio nel napoletano. Vestivano i calzoni corti, il giubbetto, il cappello dei briganti leggendari, e le ciocie. Al collo molti portavano medaglie e abitini, e avevano il fucile a bandoliera. Si vuole che fossero tolti anche dalle carceri. Negli ultimi tempi del governo papale essi percorrevano di giorno e di notte le vie della città, in doppia fila, sotto la guida di uno sbirro. La gente doveva passare in mezzo a loro, e ogni cittadino era squadrato da capo a piedi. Essi erano il terrore dei romani. Dipendevano dal Baldoni, capo della polizia, uomo odiatissimo, che dopo il 1870 si ritirò a Falconara, ove credo sia morto. Una volta venne a Roma nel 1871 per un processo, e il presidente rinunziò a interrogarlo come testimone per non provocare un tumulto.
Gli arrolamenti degli zampitti si facevano in pubblico. Una delle arrolatrici era una certa Galanti, che stava a Piazza Farnese; uno degli arrolatori il farmacista di Campo di Fiori; un altro un prete, certo don Eugenio Ricci, che fu mandato dopo dal Berti, primo questore di Roma, in America, aveva comandato due spedizioni brigantesche; in una, a Collalto, aveva fatto uccidere